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L’Islam deve fare paura?

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Anzitutto, prima di addentrarci nelle pieghe di questo discorso, è bene fare un passo indietro e chiarire cosa sia l’Islam. La parola araba significa letteralmente sottomissione, donare il proprio viso a Dio. Si tratta di una religione monoteista, in cui viene venerata una sola divinità al pari dello zoroastrismo, dell’ebraismo e del cristianesimo. Originato inizialmente nella Penisola Araba il credo si è poi allargato in Asia, Africa ed anche Europa tanto da raggiungere il numero complessivo di circa 1,5 miliardi di fedeli denominati musulmani. Il portavoce è Maometto, considerato l’ultimo profeta inviato da Dio (Allah) sulla terra per tramandarne il verbo.

L’insieme delle rivelazioni fatte da Allah all’umanità contenuta nel Corano che rappresenta ciò che per i cristiani è la Bibbia. Il libro, che i fedeli hanno il dovere di imparare a memoria, è formato da centoquattordici capitoli suddivisi in versetti. Ogni musulmano che si rispetti ha il compito di pregare cinque volte al giorno sotto il richiamo del muezzin, il fedele selezionato a capo della preghiera. La casa di Dio sulla terra è la moschea che prevede una serie di piccole ma importanti regole da seguire per chiunque voglia entrarci. Anche per l’Islam, come per le altre religioni, ci sono delle festività da seguire come ad esempio il Ramadan che prevede lunghi periodi di digiuno.

L’Islam: Le regole da rispettare per i musulmani

Se i cristiani hanno i Dieci Comandamenti, anche i musulmani hanno dei principi da seguire inderogabilmente. I pilastri dell’Islam sono cinque:

  • La testimonianza di fede che impone al musulmano di testimoniare la propria religione e seguirne i principi.
  • La preghiera nei cinque momenti della giornata, ovvero all’alba, a mezzogiorno, nel pomeriggio, al calar del sole e di notte. Il venerdì è il giorno della preghiera comune per la quale i musulmani si riuniscono.
  • L’elemosina legale che prevede la condivisione della ricchezza e l’aiuto nei confronti delle classi meno abbienti. Addirittura nei paesi musulmani è prevista una vera e propria tassa come aiuto alla popolazione più bisognosa da parte di quella benestante.
  • Il digiuno che è sacro nel mese del Ramadan dove non si può né mangiare né bere finché non scende il buio.
  • Il pellegrinaggio alla Mecca da effettuare almeno una volta nella vita.

Il significato di jihād e l’assenza di un capo religioso

Una volta letti i principi che regolano la religione verrebbe da chiedersi da dove nascono le problematiche che contraddistinguono questo, apparentemente non troppo diverso dagli altri. Una è sicuramente data dall’assenza di un vero e proprio capo per cui qualsiasi credente potrebbe ergersi a esperto del credo e promuovere un jihād offensivo per mezzo di una fatwā. A questo punto va chiarito anzitutto cos’è un jihād: letteralmente significa sforzo teso a raggiungere uno scopo. Nel mondo occidentale questo concetto ha gradualmente virato verso la guerra santa contro gli infedeli anche attraverso lo strumento armato per la diffusione della fede assumendo pertanto connotati decisamente negativi. La fatwā è invece un semplice parere che però può arrivare a assumere valore legale qualora venga riconosciuto il loro messaggio.

È così che movimenti come Al Qaida e Hamas hanno trovato la via per insidiarsi scavalcando le autorità statali ed anche quelle religiose con posizioni più morbide rispetto alle loro. La difficoltà di controllare un pensiero così libero ha rappresentato e rappresenta tuttora una minaccia nei confronti del mondo occidentale. Anche nell’interpretazione del Corano ci sono correnti di pensiero opposte l’una all’altra tra chi punta sulla difesa e chi invece a convertire chi ha una convinzione religiosa meno radicata. Jihad difensivo e offensivo: due modi di intendere la stessa religione e che hanno portato allo sviluppo a volte incontrollabile del terrorismo i cui effetti sono stati in numerose circostanze devastanti.

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