Alla fine, qualcosa di nuovo in materia pensioni dovrebbe saltare fuori con la futura Legge di Bilancio. Se non sarà la Quota 41 per tutti che costa troppo anche se piacesse tanto, altre novità potrebbero fare capolino. Magari traendo spunto da un recente lavoro fatto dal Centro Studi Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla.
In un recente lavoro di questi esperti pensionistici ecco fuoriuscire alcuni suggerimenti al Governo per una vera riforma delle pensioni. Suggerimenti con un occhio ai lavoratori a cui verrebbe concessa maggiore flessibilità in uscita. Ma anche alle casse dello Stato, con misure che potrebbero nascere a costo contenuto. Ecco, pertanto, come cambiano le pensioni nel 2025 in base a questi suggerimenti.
Non è una vera e propria proposta, di quelle che per esempio finiscono sul tavolo del Governo. Ma si tratta di una importante versione della nuova riforma delle pensioni coniata dal Centro Studi Itinerari Previdenziali. Innanzi tutto, si fa riferimento ad un correttivo da introdurre per quanto riguarda le pensioni di vecchiaia ordinarie. Parliamo della misura che oggi si centra con 67 anni di età e con 20 anni di contributi. La principale misura previdenziale di cui oggi dispone l’INPS potrebbe uscire modificata da ciò che prevede di fare il Centro Studi nel suo lavoro. Bisognerebbe portare da 20 anni a 25 anni la carriera contributiva necessaria per poter andare in pensione a 67 anni. Un inasprimento piuttosto netto dei requisiti. Perché si tratta di ben 5 anni di carriera in più necessari. Aumentando il numero di anni di contributi necessari per la quiescenza ordinaria di vecchiaia, si assottiglierebbe la platea dei potenziali nuovi pensionati ordinari quindi. Con conseguenti risparmi in termini di spesa previdenziale per le già derelitte casse dello Stato.
A dire il vero, per la pensione di vecchiaia il suggerimento è di inserire pure il vincolo della prestazione che deve essere non inferiore a 1,5 volte l’Assegno Sociale. Si tratta dello stesso vincolo che fino al 2023 era in vigore per i contributivi puri e che il Governo Meloni nel 2024 ha deciso di cancellare. E che adesso il Centro Studi vorrebbe inserire per tutti. Ma oltre all’inasprimento si parla anche di nuova flessibilità. Perché correggendo gli attuali coefficienti di trasformazione si suggerisce di concedere la flessibilità in una fascia che va dai 64 anni di età ai 72 anni. Con penalizzazioni di assegno per chi esce dal lavoro prima dei 67 anni.
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