Emil Cioran fu un intellettuale di stampo dissidente che non ha mai cercato di confondersi fra i tanti scrittori della sua epoca, ben consapevole di essere una voce fuori dal coro. Tra tutte le sue opere più importanti c’è “Divagazioni” che di seguito vi raccontiamo.
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Questo intellettuale rumeno si trasferì in Francia: questa connotazione da “apolide” è una sorta di velato marchio di fabbrica che contraddistingue la sua produzione letteraria.
È impossibile andare ad inserire i suoi contenuti, del tutto originali, in una corrente specifica del Novecento. Seppure potremmo associare facilmente il suo nome agli esistenzialisti, per citarne gli aspetti in comune ma anche per andare a evidenziarne le evidenti prese di distanza.
Da un certo punto di vista, l’assurdità dell’esistenza teorizzata da Emil Cioran nelle Divagazioni non è poi così distante dalla teoria dell’assurdo di Camus.
Eppure Cioran non condivide i presupposti su cui si fondano le teorie di Sartre, De Beauvoir e Camus stesso. Dichiaratamente vicino a Giacomo Leopardi e amico di Ionesco produce testi filosofici che sono riconducibili a quelli di Nietzsche e di Heidegger.
I suoi testi, soprattutto saggi e aforismi, tastano il polso ad una seconda metà del Novecento e non intendono risparmiare al lettore le tenaglie della malinconia che emerge grazie al suo tono sferzante e cinico. Cioran si fa carico dello sporco lavoro di scavare nel malessere che pervade l’esistenza umana e lo fa alla sua maniera.
Alcuni pensatori non lo apprezzavano particolarmente perché, leggere questo autore, significa ritrovarsi, improvvisamente, in una sorta di strozzatoio, un vero e proprio vicolo cieco di pessimismo. Le sue speculazioni appaiono paradossali, l’esistenza, appunto, è assurda.
All’interno del percorso umano di questo autore è innegabile la fascinazione che egli subì sia dal fascismo e dal nazismo, scrivendo dei saggi, databile negli anni ‘30, di chiaro stampo antisemita.
Nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, però, prende le distanze dal nazismo per accostarsi in un primo momento al bolscevismo russo che però non lo convinse mai del tutto.
È naturale che, una volta trasferitosi in Francia, entrasse in contatto con l’esistenzialismo, ma questo contatto fu più che altro una aperta polemica.
Il problema principale era che Cioran non condivideva minimamente la visione degli esponenti principali dell’esistenzialismo.
Gli esistenzialisti francesi, infatti, collocavano l’intellettuale in una posizione che partiva da un’idea progressista di forte impegno politico e civile. Dimostrando dunque una fiducia che non poteva di certo essere abbracciata da Cioran che era, prima di tutto, un filosofo pessimista in maniera radicale.
Divagazioni è uno degli ultimi testi che Cioran scrisse in lingua rumena, quasi poco convinto di continuare ad utilizzarla per esprimersi. Successivamente, difatti, passò al francese.
Lo scrisse proprio tra il 1945 e il 1946, poco più di un centinaio di pagine dove abbandona i sentimenti di entusiasmo che aveva nutrito negli anni precedenti e il lettore comincia a respirare l’inizio di quella tendenza nichilista che andrà a pervadere poi tutte le pubblicazioni successive.
È evidente che ha abbandonato in parte la sua eccentricità per armonizzarsi ad un tono più dimesso e malinconico dovuto, appunto, al fatto che non vede più una reale e convincente soluzione che possa fargli comprendere l’esistenza.
Il sentimento che prevale all’interno di Divagazioni è quello dell’inutilità.
L’autore, in questo periodo ha appena passato i 35 anni e si trova di fronte a un mondo che è stato completamente distrutto da un conflitto di portata mondiale e che rappresenta, in tutto per tutto, l’emblema del fallimento dell’essere umano.
Ma laddove l’essere umano si è reso artefice di questo cumulo di macerie, come fidarsi dell’essere umano in quanto creatura che crea?
Pare evidente che se l’essere umano è un essere corrotto, ogni sua opera non possa che essere corrotta a sua volta e che ci sia poco da fidarsi anche della filosofia che partorisce.
A questo punto, “Divagazioni” è un termine perfetto da scegliere per esprimere questo concetto perché rimanda esattamente a questo: al carattere puramente aleatorio della filosofia stessa.
Il filosofo, dunque, è colui che non può che improvvisare, inciampando a caso nelle cose di cui parla senza però potersi più fregiare di un rigore di pensiero che non può presumere di avere. È come un pescatore di significati che, nell’atto di lanciare l’esca, smuove ulteriormente delle acque che sono già putride e confuse.
A che serve fare filosofia se l’essere umano è destinato ad una tale e ineludibile sofferenza? I filosofi sono, dunque, coloro che danno voce ai “dolori senza nome”.
Ma nell’atto stesso di nominare, i filosofi si macchiano di superbia, perché tutta quella sofferenza non potrà mai realmente essere rappresentata dalla parola.
A questo punto si può solo giungere a sfiorare il ridicolo, perché la verità del dolore che impregna l’esistenza non può essere né spiegata, né narrata da vocaboli che sono solo vocaboli e, in quanto tali, inefficaci.
Questo scritto sembra essere una sorta di intimo sfogo, incredibilmente autentico, di qualcuno che cerca di tirare le somme e di confrontarsi a muso duro con la propria coscienza. L’autore lo fa senza quasi dare un ordine a questi amari e intimi pensieri.
Il suo intento, quando lo scrisse, era di smettere di scrivere, di fare il filosofo.
Eppure fu funzionale quanto una terapia, visto e considerato che dopo, non solo non smise di scrivere ma produsse un gran quantitativo di opere significative.
La cui qualità è andata solo migliorando nel corso della seconda ed ultima metà del secolo Novecento.
In realtà Divagazioni è anche il tentativo di Cioran di denigrare una strada ma al solo fine di trovarne una nuova. Forse, sotto tutto questo pessimismo, c’è la forza della vita che ogni volta ridefinisce le sue forme, esattamente come fa la filosofia.
Cioran segue la strada della concisione, dell’aforisma, delle definizioni che somigliano a epitaffi. Dare un significato deve essere una attività scomoda ma è anche l’unica soluzione che adotta per spendere il suo tempo in maniera produttiva.
Con Divagazioni Cioran passa sull’altra sponda del fiume e ci arriva rimanendo, tutto sommato in piedi, più forte e molto più convincente di prima.
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