Adesso assistiamo agli sfoghi di Flavio Briatore rispetto alle frustrazioni che spesso manifesta e che sono inerenti al sistema Italia.
Flavio Briatore noto imprenditore piemontese, classe 1950, vanta diverse attività in diversi punti estremamente strategici: Sardegna, in Versilia, Porto Cervo, Roma, Milano, Dubai, Mykonos, Riyadh, Doha, Montecarlo, Londra e nella capitale del Qatar.
Sicuro della sua attività imprenditoriale e della sua competenza in tale ambito, si sente un buon giudice delle politiche economiche della penisola dello stivale, che definisce “a regime comunista”.
Al centro della polemica c’è sicuramente il sistema burocratico italiano e la politica che invece di favorire l’attività imprenditoriale segherebbe le gambe a chi vuole investire dei capitali in Italia.
Sono in tanti a vedere Flavio Briatore come Donald Trump italiano, questo ovviamente anche a causa della sua passione per le belle donne e per la vita mondana che conduce.
In una sua intervista al prestigioso Corriere della Sera, che ha ritenuto doveroso interpellarlo in merito, si è aperto in una approfondita disamina andando a toccare vari punti che generano il suo malessere.
Sono note le sue posizioni contro il reddito di cittadinanza, soprattutto quando viene erogato ai giovani che invece dovrebbero, a suo avviso, manifestare più intraprendenza, più carattere e farsi guidare dalla fame più che dalla sicurezza.
Flavio Briatore continua ad investire in Italia, nonostante tutto, avendo di recente inaugurato delle pizzerie sia a Roma che a Milano.
Proprio in virtù della sua attività imprenditoriale nel Bel Paese, cerca di andare a sottolineare le differenze che invece si riscontrano quando si cerca di operare all’estero, dove invece l’attività imprenditoriale è favorita e dove le politiche abbracciano lo spirito di iniziativa e incoraggiando le persone che portano il capitale ad investirlo.
Secondo Flavio Briatore i problemi non sono solo ed esclusivamente inerenti alle tasse, che già sono altissime, ma qualunque tipo di iniziativa che viene presa dall’imprenditore sembra essere bloccata, dando un senso di impotenza e l’impossibilità di operare secondo l’iniziativa personale.
Ad esempio, la possibilità di mettere la musica. Ma perché hai tutti questi problemi?
Perché è un imprenditore, che porta al lavoro, che paga le tasse, invece di essere aiutato viene in qualche modo ostacolato nella sua attività? Il parere di Flavio Briatore è che essendo l’Italia un paese senza futuro, a stampo comunista, è ostile all’attività imprenditoriale perché è un imprenditore, nella mentalità dei politici italiani, risulta uno sfruttatore del lavoro.
Briatore si dice favorevole al pagamento e all’introduzione delle tasse, sebbene ad un’aliquota molto più bassa di quella che prevede invece il fisco italiano. Il sistema esce da un buon equilibrio proprio a causa del fatto che le tasse, così alte, poi vengono evase con tutti i problemi che ne conseguono.
Anche perché, le punizioni che vengono inflitte in merito sono decisamente irrisoria rispetto alle condizioni e alle sanzioni che vengono pagate all’estero dove spesso l’attività viene chiusa se non è in regola con il pagamento delle tasse dovute.
Punta il dito anche sul sistema giudiziario italiano da cui si sente perseguitato da più di un decennio, nonostante la sua totale assoluzione e nonostante l’Agenzia delle Entrate gli abbia confiscato una barca.
Ma è giusto dire che attirare i ricchi investitori potrebbe realmente andare a creare quei posti di lavoro che i poveri non possono creare? In realtà è giusto considerare Briatore più che altro il portavoce di una larga frangia di opinionisti che hanno le sue idee di stampo capitalista.
Ovvero tutti i vecchi corteggiatori della politica di Berlusconi che, di base, lo avevano votato proprio sulla base di questo genere di presupposti, riconoscendogli il merito di aver creato milioni di posti di lavoro con le sue attività imprenditoriali. Tutti questi elettori e questi simpatizzanti berlusconiani, di contro, vede la classe politica come una casta attaccata alle poltrone e che si arricchisce senza lavorare.
In realtà se andiamo a vedere gli ultimi anni di politica italiana, sono state fatte delle riforme per attirare i capitali esteri, tra cui la riforma delle privatizzazioni. Eppure, non ci sono stati contraccolpi positivi rispetto alle statistiche sulla disoccupazione giovanile, anzi essa non ha mai accennato a diminuire.
Tra l’altro, un errore di fondo è proprio quello di andare a considerare il lavoro come “il posto fisso” occupato da un singolo, quando in realtà il lavoro è più un concetto creato da un interconnessione di necessità.
Se veramente analizziamo la concezione del lavoro da un punto di vista teorico, ovvero un incontro tra domanda e offerta, lo scopo dell’imprenditore non è certo quello di creare dei posti di lavoro, ma di fornire i mezzi di produzione e il salario per ottenere un profitto.
L’imprenditore dunque acquista il lavoro, assieme ai mezzi di produzione, ed è una corrente del lavoro che viene generato dal lavoratore stesso.
Magari si può attribuire all’imprenditore il merito di riuscire a far creare le condizioni affinché vi sia il presupposto che crei il lavoro, ma è solo un piccolo pezzo del puzzle come tanti altri che sono in gioco, e senza i quali il gioco non esisterebbe.
Quindi in conclusione quello che Marx risponderebbe a Briatore è che, certo che l’imprenditore non può che sfruttare il lavoro altrui, dal momento che l’unico modo che ha per aumentare il proprio margine di profitto (che, ricordiamolo, costituisce il suo scopo primario) è aumentare le ore lavorative del lavoratore o andare ad abbassargli lo stipendio.
E dal momento che si può lavorare senza capitale ma non esiste un capitale senza che vi sia lavoro, per la proprietà transitiva si può dedurre che gli imprenditori si arricchiscono del lavoro altrui.
E di certo non arricchiscono gli altri grazie al proprio profitto che generano proprio sulla base del lavoro degli altri.
Probabilmente la strategia comunicativa di Briatore e di tutti i liberali è proprio quella di andare a convincere l’elettore alle urne, affinché si attuino delle riforme necessarie a portare ancora più capitali all’imprenditoria e a impoverire ancora di più il tessuto sociale di un paese di aspiranti lavoratori, premendo sulla ferita della disoccupazione.
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