È possibile dire che tra i dati più degni di interesse che è possibile analizzare, per verificare e studiare anche in maniera analitica quali sono le politiche di un paese, ci sono le spese militari. Ed è per questo che è una notizia sicuramente degno di nota quella dell’acquisto di nuovi aerei F35 da parte di un paese, l’Italia, che teoricamente viene considerato un paese votato alla pace e dunque che dovrebbe avere uno scarso interesse ad investire le sue risorse in questo ambito.
Oltretutto in tanti, sempre se la notizia avesse assunto una rilevanza mediatica, cosa che non è successo, potrebbero contestare l’acquisto di questi cacciabombardieri proprio in una fase storica di forti problematiche dal punto di vista economico.
Molti cittadini potrebbero non gradire l’investimento delle risorse collettive a favore di questa scelta di andare ad implementare le dotazioni militari. A discapito di altri settori strategici del nostro paese, non solo quelli inerenti alla salute pubblica, alla cultura, ma anche il settore industriale, turistico e produttivo in generale.
Chiaramente ogni volta che si decide un investimento del genere si deve mettere la proposta ai voti.
Quando si è deciso di andare ad investire 15 miliardi di euro in questo ambito, la votazione ha fatto registrare solo ed esclusivamente voti favorevoli, ad esclusione del partito democratico che ha deciso di astenersi dall’esprimere un’opinione in merito.
L’acquisto di questi cacciabombardieri è stato fatto in seguito all’adesione ad un progetto di riarmo che è stato promosso dagli Stati Uniti.
Il numero dei cacciabombardieri acquistati è stato di 131 esemplari, considerato che ogni F35 costa allo Stato 91 milioni di euro.
In realtà è difficile puntare il dito su un unico governo perché il progetto di riarmo, denominato Joint Strike Fighter, cominciò nel 2009.
Ma già una prima intesa viene firmata dal governo D’Alema nel 1998, praticamente più di un decennio prima e a questa firma seguirono quella di Berlusconi nel 2002, quella di Prodi nel 2007 e di nuovo quella di Berlusconi nel 2009.
Il progetto prevede di andare a assemblare gli F35 all’interno della base militare di Cameri, una base militare che si trova in provincia di Novara all’interno della quale si farà uno stabilimento proprio a questo scopo. La produzione di questi aerei richiederà qualche anno, ma qualcuno di particolarmente attento ha deciso di opporsi in qualche modo a questo progetto.
Parliamo del Coordinamento contro gli F35 guidato da Oreste Strano che ha rilasciato un’intervista dove ha manifestato tutto il disappunto del movimento.
Per fortuna, nonostante negli ultimi anni tanti cittadini abbiano cominciato ad allontanarsi dalla politica proprio per una sorta di disillusione collettiva, tanti altri hanno continuato a vigilare sull’operato del governo e in questo caso sull’operato delle commissioni Difesa di Camera e Senato.
Tra questi, appunto, Oreste Strano che non solo è responsabile del Coordinamento contro gli F35 ma si è anche adoperato come suo portavoce, per manifestare un dissenso e motivarlo su diversi punti.
I detrattori che vorrebbero fermare la produzione dei 131 esemplari di F35 ci hanno tenuto a specificare che l’Italia ha deciso di investire non solo nell’acquisto di questi cacciabombardieri ma, come specificato, si occuperà anche della loro produzione.
Per questo l’investimento è diventato così oneroso e prevede una spesa complessiva incredibilmente alta.
C’è chi potrebbe chiedersi se realmente questo progetto poteva essere così importante e prioritario per una democrazia che alla base della sua Costituzione ripudia la guerra.
Si potrebbe pensare che aldilà di quello che apparentemente sembra solo una decisione presa in accordo con la necessità di mantenere determinati equilibri internazionali. Il primo tra tutti è una dimostrazione di coesione con le politiche dirette dagli Stati Uniti e cui partecipano anche gli altri alleati, ci sia un interesse di tipo economico.
Insomma: dove vanno veramente a finire i soldi degli italiani? Posta così la domanda è decisamente semplice e quando la domanda è semplice è più facile risalire ad una risposta chiara e trasparente.
Gli aerei cacciabombardieri F35 verranno assemblati all’interno di un capannone presso la base militare di Cameri. Questo stabilimento, dal nome FACO, verrà gestito da tutta una serie di aziende del settore. Parliamo di ditte particolarmente conosciute, prima tra tutte direttamente collegate a Finmeccanica.
Sostanzialmente saranno proprio le attività legate a questa holding italiana a produrre (al loro interno) i pezzi di differente genere che andranno a costituire gli F35 e presso FACO avverrà solo il loro assemblaggio.
Lo stabilimento in provincia di Novara dovrà essere costruito, a sua volta, grazie ad un appalto da 250 milioni di euro vinto dalla ditta di Maltauro di Vicenza. Ecco i destinatari dell’investimento, tutte aziende private.
Rispetto a questo genere di critiche la politica si è trincerata dietro affermazioni piuttosto blande e che non vanno realmente a confutare i termini della contestazione.
Difatti, come già accennato, nessun interlocutore politico ha veramente posto opposizione al progetto che non viene minimamente messo in discussione dal momento che è già stato approvato.
Alcune persone particolarmente attente, risalendo ai giorni dell’approvazione parlamentare del finanziamento per il riarmo, si sono rese conto che i miliardi investiti per gli F35 più o meno coincidono ai miliardi che sarebbero serviti per andare a ricostruire l’Abruzzo in seguito al terremoto.
L’approvazione del progetto, peraltro, è datata esattamente due giorni dopo rispetto all’evento sismico che ha messo in ginocchio la regione. Un evento che, si può affermare con certezza, ha fatto tremare gli altri anime degli italiani.
Mentre il popolo si è affaccendato in gare di solidarietà per i propri concittadini in difficoltà, i governanti non hanno minimamente tenuto in conto di quello che sarebbe stato il sentimento popolare e hanno fatto passare in sordina un investimento che altrimenti avrebbe destato quantomeno un’ondata di indignazione popolare, se solo qualcuno all’epoca ne avesse parlato.
Aldilà della mera questione economica, le scelte di questa portata dovrebbero far riflettere sull’orientamento reale che continuano ad avere le politiche del nostro paese che da una parte,a livello propagandistico, si basa su dichiarazioni non rispettate poi in sede decisionale.
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