In quali situazioni il lavoratore rischia di perdere il posto perché l’azienda vuole ridurre le spese? Ecco tutto quello che c’è da sapere.
Si può essere licenziati per motivi economici, ovvero perché l’azienda ha un disperato bisogno di contenere i costi? Ahinoi, purtroppo la risposta è sì.
Il giudice infatti non può sindacare sull’esigenza del datore di lavoro di ridurre le spese per motivi economici, organizzativi o legati alla produzione. L’unico vincolo in questo senso è il dovere di mostrare che le ragioni che stanno a monte del licenziamento non siano arbitrarie ma effettive, obiettive e dimostrabili. Anche la Cassazione di recente è intervenuta per ribadire le condizioni di legittimità del licenziamento per il contenimento dei costi. Ecco cosa ha stabilito la Suprema Corte.
Quando il dipendente viene licenziato per giustificato motivo oggettivo – in questo caso per una politica di riduzione dei costi – ha diritto alla Naspi (l’assegno di disoccupazione) e naturalmente al TFR, alle mensilità che ha maturato e ai ratei di tredicesima e quattordicesima. Gli spettano anche, sotto forma di pagamento in denaro, le eventuali ferie maturate ma non godute.
Come detto, le cause del licenziamento per contenimento costi devono essere improntate a criteri razionali, oggettivamente e concretamente verificabili, sempre tenendo conto della libertà di iniziativa economica (costituzionalmente riconosciuta) e della relativa responsabilità in caso di insolvenza. Da qui una certa discrezionalità riconosciuta al datore di lavoro, che tuttavia non è illimitata. Non basta dunque invocare la semplice necessità di contenere i costi.
Va dimostrato il collegamento logico tra la cancellazione di quel determinato posto di lavoro che ha portato al licenziamento del dipendente e la politica di contenimento delle spese. Inoltre il datore di lavoro, quando ci sono più lavoratori che svolgono la stessa mansione, non può scegliere a proprio arbitrio chi lasciare a casa. Deve rispettare i criteri fissati per i licenziamenti collettivi che si basano su parametri come l’anzianità di servizio, i carichi familiari, i bisogni tecnico-produttivi e organizzativi.
Resta sempre la possibilità per il dipendente di difendersi da un licenziamento ingiustificato. Chi ritiene di essere stato allontanato dal lavoro senza validi motivi oggettivi può impugnare il licenziamento. Come prima cosa, entro 60 giorni dalla comunicazione, dovrà inviare una lettera di contestazione al datore di lavoro per manifestare la volontà di opporsi al recesso del contratto. Qui non dovrà per forza indicare le ragioni che andranno poi presentate in giudizio.
L’avvocato del dipendente licenziato avrà poi 180 giorni di tempo per depositare il ricorso in tribunale. In questa sede toccherà al datore di lavoro provare la solidità delle ragioni del licenziamento. Nel caso in cui quest’ultimo fosse giudicato illegittimo, il datore di lavoro dovrà reintegrare il lavoratore oppure, a scelta di quest’ultimo, risarcirlo.
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