L’ondata di sommosse che si propaga nelle città francesi costringe a ripensare l’idea di società che dura da molto tempo
Nahel, 17 anni, di origine algerina, è solo l’ultima vittima della violenza della polizia francese. L’ha ucciso un colpo di fucile sparato a bruciapelo da un poliziotto a Nanterre, nella banlieue di Parigi. La stessa parola banlieue suona come un destino. “Ban” infatti indica il bando e i banditi, “lieu” il luogo, fuori dalla capitale, lontano dal centro città. E tutt’ora i residenti si sentono relegati in un altro Paese, che non è la Francia. Privi delle chance che offre Parigi.
La diffusione del video, in cui si vede l’accaduto, impedisce la criminalizzazione della vittima. Questa volta le immagini mostrano un colpo di fucile da pochi centimetri. Il poliziotto è stato subito sottoposto a garde à vue, il fermo di polizia: nessuno lo giustifica e lo Stato lo incrimina. Le sommosse, però, sono così numerose che consolidano letture come quella di Louisa Yousfi, scrittrice nata nella periferia.
Autrice del libro Restare barbari, ha ribadito in questi giorni come il mito integrazionista è finito. Si è raccontato che neri e arabi, diventando francesi, si sono costruiti un posto nella società. La realtà è diversa. Le vite degli abitanti delle periferie sono rese inferiori dai comportamenti della vita quotidiana. Discriminazione silenziosa, nel migliore dei casi. Apartheid, segregazione razziale: ecco lo spettro. Il 90% delle persone uccise dalla polizia francese ha la pelle nera. Algerini e tunisini non cantano la Marsigliese e non si sentono francesi. I loro genitori e i loro nonni parlano di scontri con la polizia. E’ questa la decolonizzazione? Un fallimento.
Yassine Belattar, animatore radiofonico, membro anziano del Consiglio presidenziale delle città, afferma in un editoriale pubblicato il 30 giugno da Libération, che Nahel è stato ucciso perché non ha avuto il diritto di sbagliare. Ha disobbedito a un poliziotto. Un comportamento stupido come può capitare a un ragazzo. Ed è stato condannato sull’istante alla pena di morte.
Chi nasce nelle periferie neppure vede un avvenire e una carriera davanti a sé. Le periferie restano un mondo a parte, fatto spesso di fratellanza nella violenza, o comunque nella discriminazione. I loro abitanti sono chiamati banlieusards, o arabi o musulmani. C’è sempre un aggettivo in più, a sottolineare che i francesi doc sono altri.
Sono i ragazzi della stessa età della vittima, poco meno che maggiorenni, a unirsi nelle sommosse. Molti sono ancora più giovani, di 15 e 14 anni. Il presidente della repubblica Emmanuel Macron intende vietare la condivisione di contenuti violenti sul social. Ha invitato alla cura del linguaggio e ha chiesto ai genitori di tenere a casa i figli minorenni. Di fatto è in vigore il coprifuoco. I mezzi pubblici dopo le 21 restano fermi. Intanto, la mobilitazione della polizia è eccezionale: 45mila gli agenti mobilitati nelle città a rischio, fra cui si sono aggiunte Marsiglia e Lione.
Oltre alla questione giovanile, emerge con forza la questione razziale dentro la polizia. L’Onu ha invitato la Francia ad affrontare “seriamente i gravi problemi di razzismo e discriminazione sociale all’interno delle Forze dell’Ordine“. Sono le parole di Ravina Shamdasani, portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, in una conferenza stampa a Ginevra.
Gli abitanti delle periferie, osserva un editoriale uscito su Le Monde, non hanno scelto di concentrarsi proprio lì. C’è un problema urbanistico che non dipende dalla quantità di investimenti. Sembra finalmente che l’urbanistica, come infrastruttura democratica, assurga finalmente alla giusta importanza. La qualità dei servizi ai cittadini, così diversa dal centro, penalizza poi enormemente le periferie. Il problema principale nel caso della tragedia di Nahel è l’uso delle armi da parte della polizia. Che peraltro è stressata dalla lotta alla criminalità e allo spaccio di droga. Ci si aspetta che il regolamento cambi. In una democrazia da ricostruire.
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