Pessime notizie per i dipendenti della Pubblica Amministrazione: sono previsti pesanti tagli sulle pensioni. Il Governo è inamovibile.
Scioperi e incontri con i sindacati, per il momento, sembrano non smuovere il Governo Meloni dalla sua decisione: a partire dal 2024 ci saranno tagli pesantissimi sulle pensioni dei dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Le pensioni restano sempre il nodo più difficile da sciogliere. Soprattutto sembra impossibile accontentare tutte le richieste. Da un lato ci sono i pensionati che vorrebbero ricevere assegni più ricchi ma dall’altro ci sono i lavoratori che domandano di poter accedere alla prestazione con qualche anno di anticipo. Al momento le esigenze diverse sembrano inconciliabili e qualcuno, inevitabilmente, verrà penalizzato.
Le casse dello Stato versano in una condizione difficilissima ed è urgente trovare risorse finanziarie sufficienti a coprire la riduzione delle percentuali Irpef e le politiche a sostegno delle famiglie. Per il 2024 e forse anche per gli anni che seguiranno la categoria più penalizzata sarà quella dei dipendenti della Pubblica Amministrazione. Questa rischia di perdere davvero un mucchio di soldi sulla pensione.
Tagli sulle pensioni: ecco cosa cambierà per i dipendenti della Pubblica Amministrazione
Il Governo Meloni deve recuperare risorse per portare a termine la riforma fiscale e aiutare le famiglie. E il “pozzo” da cui attingere, per il momento, sembrano essere le pensioni. Alcune categorie potrebbero subire perdite altissime. È previsto infatti un ricalcolo per intero con il sistema contributivo: questa è la notizia scioccante che ha colpito come un pugno in pieno viso i dipendenti della Pubblica Amministrazione.
Con la legge di Bilancio 2024, il Governo di Giorgia Meloni ha deciso che gli assegni di coloro che sono impegnati in tale ambito e che andranno in pensione a partire dal prossimo anno saranno interamente ricalcolati con il sistema contributivo puro, senza tenere conto delle quote retributive. Introdotto nel 1996 dalla riforma Dini, questo è assolutamente meno vantaggioso per i lavoratori rispetto al sistema di calcolo misto.
Infatti non tiene minimamente in considerazione le retribuzioni percepite ma comprende solo l’insieme dei contributi versati e l’età a cui una persona lascia il lavoro. Con il sistema contributivo l’importo della pensione si calcola moltiplicando il montante contributivo – cioè l’insieme dei contributi versati – per un coefficiente di trasformazione che aumenta con l’aumentare dell’età a cui si va in pensione.
Le categorie interessate da questa misura sono i sanitari, i dipendenti degli enti locali, gli ufficiali giudiziari e i docenti delle scuole materne e primarie parificate. Non tutti, ma solo chi ha iniziato a versare i contributi tra il 1981 e il 1995.
Quelli antecedenti al 1981, dunque, sono salvi. I tagli riguarderanno almeno 732mila lavoratori e consentiranno allo Stato di risparmiare 2,2 miliardi di euro. Si è stimato che le perdite sulla pensione potrebbero arrivare anche fino a 1000 euro al mese. Chi raggiungerà i requisiti per la pensione – sia ordinaria sia anticipata – entro il 31 dicembre 2023, non subirà nessuna decurtazione.