Un conto cointestato può essere particolarmente utile e comodo, ma può comportare vincoli quando si deve prelevare. Ecco cosa è importante sapere per chi ne ha uno o sta pensando di aprirlo.
È consuetudine scegliere di avere un conto cointestato in banca (ma è disponibile anche in posta) non solo quando si è in coppia. Spesso infatti può essere una mossa pratica anche in caso di un ragazzo che sta cercando di rendersi indipendente con i suoi primi guadagni: in questo caso si consente a uno dei due genitori di inserire la firma sul conto in modo tale da permettergli di effettuare le varie operazioni anche se non si ha la possibilità di presentarsi personalmente in filiale.
Optare per una soluzione simile può essere utile quando si ha la necessità di gestire all’interno della propria cerchia familiare i risparmi. Si tratta inoltre di una proposta da prendere in considerazione anche per la sua convenienza economica: le spese, infatti, vengono gestite in due, cosa che non può invece avvenire se ognuno dei due coniugi decide di avere un conto personale.
Esistono comunque anche le eccezioni: ci sono coppie, anche sposate, che hanno un conto cointestato, utile ad esempio per pagare mutuo e bollette, ma che decidono anche di avere un conto personale per mantenere comunque una propria autonomia.
Conto cointestato: attenzione ai prelievi
Si parte sempre dal presupposto che la persona con cui si decide di aprire un conto cointestato meriti la nostra fiducia, proprio per questo in genere si punta sul partner o su un genitore. Questo può essere di due tipi:
- a firma congiunta: nel contratto devono essere specificate quali operazioni richiedono la forma di tutti i correntisti. Questa può essere adatta per le famiglie che hanno la necessità di tenere sotto controllo i risparmi, senza correre il rischio che uno dei componenti si faccia prendere la mano e spenda quando non necessario:
- a firma disgiunta: ogni cointestatario ha la possibilità di fare ogni tipo di operazione senza avere il consenso dell’altro. Si tratta di un’idea che viene scelta dalla maggior parte dei coniugi o dei conviventi perché si basa sul rapporto di fiducia nei confronti del partner, visto che consente di gestire i risparmi senza dover tenere sotto controllo ogni aspetto.
Una volta versate le somme, l’importo diventa di proprietà di tutti secondo le rispettive quote; se questo non dovesse esserci si presuppone ci sia un rapporto di 50 e 50. A volte però è possibile dimostrare che la cointestazione sia solo fittizia, come è il caso ad esempio di quando è solo uno dei due titolari a versare un proprio guadagno sul conto.
L’altro utente può quindi effettuare operazioni solo per interesse del primo: basti pensare a un’anziana che riceve su quel conto la pensione, ma che concede la firma a un figlio/a, specialmente se si tratta di qualcuno che non ha la possibilità di muoversi per recarsi personalmente in filiale.
Attenzione all’entità del prelievo
Si tende a pensare che un conto cointestato possa permettere di prelevare in maniera indiscriminata senza andare incontro ad alcuna conseguenza. Questo è però vero solo in parte. La filiale sa bene se il rapporto sottoscritto preveda una differenza nelle quote tra le due persone titolari, ma non ha facoltà di impedire all’altro quanto effettivamente consentito.
Se chi ha una quota maggiore dovesse scoprirlo, può però chiedere che gli sia restituito il denaro eccedente e pretendere che siano fatti valere i suoi diritti, anche se si tratta di un conto a firma disgiunta.
La restituzione va però avviata attraverso il supporto di un avvocato e consente di recuperare solo la somma in eccesso.
In alternativa, è possibile avviare un’azione penale facendo valere il reato di appropriazione indebita, ma se vengono rispettate alcune specifiche condizioni. Questo vale se l’altro intestatario decide di entrare in possesso di un importo in misura eccedente la quota di sua pertinenza., anche se può essere autorizzato a compiere operazioni senza il consenso dell’altro.
Chi ravvede questa situazione può sporgere querela presso la polizia, i carabinieri o alla Procura della Repubblica. Non è però possibile sporgere querela nei confronti del coniuge, nemmeno se sono in regime di separazione dei beni. La contestazione può invece avvenire in caso di separazione o divorzio. Sulla base dell’articolo 126 del codice penale non si hanno più diritti a sporgere querela in caso di morte della persona offesa.