Una vita è l’autobiografia del giornalista Massimo Fini. Funge anche da romanzo e si presta bene anche grazie al fatto di passare dalla prima alla terza persona e tutto senza seguire un reale ordine cronologico.
Perché venne apprezzato Massimo Fini?
Le cose più interessanti dell’autobiografia di Massimo Fini
Uno dei motivi per cui le persone tendono ad apprezzare questo autore, nato nel 1943, è proprio la sua implacabile penna, onesta intellettualmente, critica e al contempo anche autocritica.
Non è qualcuno che tema di affrontare la vera natura altrui, oltre che la propria.
Le tre città di riferimento di questa autobiografia sono Mosca, Parigi e Pisa a causa del papà pisano e la madre una russa di origini ebraiche e del fatto che si incontrino a Parigi. Il padre si trovava in esilio a Parigi e, tutto sommato, i suoi genitori vissero una vita attraversata da eventi tragici tra cui le due guerre mondiali.
Massimo Fini ritiene che le generazioni antecedenti alla sua, tra cui la generazione dei genitori che continuano in qualche modo a vivere come l’uomo dell’800, fossero persone che avessero ancora in mano la propria vita.
Li riconosce parte di una umanità che era ancora in grado di poter detenere un certo grado di poter decisionale. La sua generazione, invece, e quelle successive al secondo dopoguerra, pur avendo vissuto una vita di certo meno tragica e meno ricca di avvenimenti così drastici, non ha più avuto un reale potere di scelta.
E questo a causa, principalmente, di due processi inarrestabili, ovvero la globalizzazione e l’avvento delle nuove tecnologie.
Ma è proprio in virtù di questa ragione che oggi gli uomini, ritiene, non possono davvero conoscere se stessi proprio perché manca loro una esperienza diretta della guerra.
Un’esperienza che ti pone a diretto confronto con te stesso, con istanze interiori che si devono necessariamente manifestare per la necessità di scoprire quanto si sia coraggiosi o vigliacchi in momenti così tragici della vita.
L’infanzia di Massimo Fini
L’infanzia di Massimo Fini si svolge a Milano, dove vive in un quartiere che contribuisce a infondergli un importante senso comunitario. La Milano dei bar, quella delle generazioni che si riunivano intorno al biliardo e dove si respirava il senso di aggregazione, una Milano molto diversa da quella della globalizzazione, coi bar dove persone sole rimangono ipnotizzate dalla slot machine.
I cambiamenti più importanti li attribuisce al 1968 e al bisogno della borghesia di impegnarsi in qualcosa di importante. Fini partecipa per i primi mesi delle occupazioni, aspirando a qualche afflato di libertà in più, libertà che riteneva anche troppo semplici, abbandonando il movimento a causa della aggressività che vi riscontrava e che non sentiva gli appartenesse.
Si dedica dunque al lavoro imparando il mestiere all’Europeo nei primi anni ’70.
Il direttore dell’epoca Tommaso Giglio, fu determinante a impartire quella dura disciplina e quella struttura rigorosa da giornalista che poi Fini ha portato con sé nel corso della sua carriera.
La vita privata di Massimo Fini
L’esperienza con Vittorio Feltri
Un’altra esperienza che ritiene fondante e al contempo avventurosa è stata quella vissuta un anno e mezzo con l’Indipendente con Vittorio Feltri, un giornale che era nelle mani dei giornalisti stessi.
Ad un certo punto Finì, ancora amareggiato dal fatto che Vittorio Feltri aveva lasciato il giornale per lavorare con Berlusconi, si imbatte nell’epoca del Berlusconismo di Milano 2, quella del ceto medio indifferenziato e senza valori.
Il parere di Massimo Fini è che Berlusconi ha avuto più successo della sinistra proprio per il suo desiderio sfrenato di piacere, tipico del narcisista.
Lo descrive come un uomo per cui il consenso era tutto, è che non accettava di non averlo, ha sovrastato una massa di politici con la puzza sotto al naso, distaccati e disinteressati alle masse.
Fini si rivela particolarmente polemico col socialismo e soprattutto con Bettino Craxi, sebbene ammetta che forse tutto questo spirito critico derivi da una sua simpatia di fondo data anche dalla sua esperienza nel l’Avanti.
Tante fidanzate bellissime e, a 24 anni circa, una esperienza omosessuale.
Anche questo accenno alla sua avventura sessuale con un uomo è da far rientrare in quella che è una analisi onesta intellettualmente di Massimo Fini, la cui penna è pulita e non deve essere amica di nessuno e non concede segreti o favoritismi di sorta nemmeno se deve scrivere di se stesso.
Della sua depressione e dell’alcolismo.
In una raccolta di articoli di Fini, pubblicata in una monografia, la medaglia al valore firmata dalla prefazione del celebre Indro Montanelli. Montanelli parla del giornalista esprimendo una grande ammirazione per la sua indipendenza intellettuale e sottolineando che è uno dei motivi per cui la scure del silenzio è stata fatta calare su di lui ,da tutti coloro che non avevano simpatia per una scrittura cosi onestà.
Massimo Fini scrive la sua autobiografia in un periodo di pausa dalla sua attività di giornalista.
Soprattutto i problemi che ha cominciato ad accusare alla vista hanno contribuito a dare una spinta alla sua opera di romanziere, non solo per quanto riguarda questo libro, ma anche per i romanzi che vanno a scandagliare e a indagare su grandi personaggi del passato come Nerone.
Nonostante le sue relazioni importanti, un matrimonio e un figlio, la cifra dominante della sua interiorità è stata vissuta in una profonda solitudine.
Definisce se stesso “un fallito di successo” e un “vinto dalla vita”.
È stata forse la parte materna, quella russa in cui affondano parte delle sue origini, a suo avviso, ad imprimergli un carattere masochista, dedito all’apprezzamento degli ultimi, degli “umiliati” di cui si sente di far parte.
Al di là del giornalismo e della carriera di scrittore, scopriamo anche Massimo Fini come autore di teatro e interprete, un ruolo che spera di continuare a ricoprire in futuro.
Il teatro è la forma di comunicazione che predilige e che ritiene insostituibile, grazie al rapporto diretto che si instaura col pubblico. Le sue esperienze in merito sono tardive: ha cominciato a sessant’anni.
È una sorta di vita che vede consona al suo animo, alla ricerca di energia e di una vita che continua a ritenere che debba essere ricca di significati.