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Un inchino a Yocheved Lifshiz

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Armando Del Bello

Stiamo parlando della donna israeliana di 85 anni che con un gesto è riuscita a cancellare 75 anni di odio.

Dobbiamo un inchino a questa donna. Più i giorni passano, ed il conflitto si annoda su sé stesso, come una serpe folle abbagliata dai propri riflessi, più la lezione di un gesto diventa monito e disperazione. Monito che teme di essere inutile, in giorni in cui l’odio si gonfia come una slavina verso il proprio abisso.

Un inchino a Yocheved Lifshiz
Yocheved Lifshiz il gesto che ha commosso tutti-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

Disperazione perché il ricordo di una vita, e di quella terra fatta di deserto, vendetta e sangue strappa le illusioni come il dolore che porta via la voce a donne che hanno gridato troppo. Figli morti, lutti in ogni famiglia: un albero marchiato a fuoco dall’odio che mai si consuma, come un roveto ardente. Ma non è una presenza di saggezza, questo fuoco. E’ la sua negazione.

Yocheved tra le prede

Yocheved Lifshiz è stata tre le prede di Hamas in quella mattina folle che ha ricordato al mondo cosa è questo fazzoletto di terra: uno straccio con cui tamponare le ferite, mentre il mondo usa un merletto per coprirsi la bocca, parlare d’altro e dimenticare. E intanto generazioni crescono e muoiono e la prima cosa che apprendono è il vocabolario della frattura,  e mai si ricompone: noi e loro, i nostri morti ed i loro. Con il cuore che follemente cerca una matematica che annulli il peso di questo inventario. E i numeri non tornano mai, perché sempre scissi e doppiati dal libro dei conti dedicato al dolore, che è follia e chiama follia.

Il gesto incredibile della donna
Yocheved Lifshiz è stata tre le prede-Credit ANSA-L’intellettualedissidente.it

Yocheved ha tagliato questo nodo, camminando incerta verso i pochi giorni che la separano dalla liberazione alla fine della sua vita. Le immagini la ritraggono mentre sta per andarsene. Non se ne va davvero: ad un tratto sembra presa da un pensiero irrinunciabile, nel momento in cui il commiato agli uomini di Hamas dovrebbe assomigliare ad una fuga dall’inferno. Si trattiene, voltandosi, e non manca di salutare “quelli lì”. Con il volto coperto. Arriva al punto di toccarli, e stringe loro la mano.

Un folle roveto ardente, quello dell’odio

E dice “shalom” pace, che è come pronunciare il nome dell’Altissimo nell’abisso, sotto il cielo notturno che è un abisso rovesciato da cui piovono mostri, come ombre che affiorano dal basso, nel mare. Qui c’è un mare d’odio e nient’altro, ora. Scomparsi gli uomini di buona volontà, uccisi o ridotti al silenzio, la pace muore. Rimane il gesto di Yocheved, una creatura che ha visto orrori e sarebbe potuta esserne avvinta, ormai. E invece no, ostinatamente.  Yocheved è stata rapita, picchiata, derubata, portata altrove. Ha camminato, ore, dentro tunnel bagnati. Non capita spesso, ad 85 anni.

Ma se vivi in una terra che è una ferita perenne il possibile si estende all’infinito, come i cunicoli sotto Gaza. Un inferno là sotto ed un inferno fuori. Yocheved è uscita fuori da quell’oscurità. E’ stata propaganda e calcolo la sua liberazione dopo la folle caccia all’ebreo di quel sabato, certo. E tuttavia non c’era calcolo in quel gesto. E’ un momento di Grazia, e di genio con essa. Una scintilla fraintesa e nascosta dal rancore che sbatte e si frange come onde, una sull’altra, ancora. E provengono da ogni lato: Israele, Gaza, Palestina. C’è tutto questo, e altro: un mondo rovesciato e dato alle fiamme. E c’è Yocheved che emerge dall’inferno: stringe la mano di un assassino, forse, e dice “shalom”. E lui inconsapevolmente avvicina quella mano al proprio, di cuore. E per una istante, loro, i nemici di sempre, sono una cosa sola. Nella pace.

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