Netanyahu intende spazzare via Hamas e, se Hamas è a Gaza, sarà Gaza ad essere distrutta. Costi quel che costi.
Alla fine ci si trova davanti ad una domanda scomoda ed estenuate, perché costringe il ragionamento su sentieri che non vorremmo percorrere, perché portano all’Inferno. Ma è inevitabile, oltre che odiosa: ci si domanda cosa sarebbe accaduto nella nostra percezione se la stretta su Gaza fosse stata compiuta da un Paese confinante, Giordania od Egitto. E se dal mare navi militari russe avessero dilaniato quella terra rendendola irriconoscibile.
Quale sarebbe stata la causa di un’azione di questo peso e natura non si sarebbe esitato a chiamarla rappresaglia o crimine di guerra. Ma la buona diplomazia israeliana, la stampa, lo straordinario intreccio tra affari e interessi, economici ed elettorali, che lo Stato proclamato da Ben Gurion ha intessuto negli ultimi 75 anni cambiano il punto di osservazione su quello che accade, e il lessico.
Zelensky finge di non vedere
Se il buon Zelensky con i contorsionismi del proprio straordinario opportunismo delinea similitudini di comodo tra Hamas e la Russia logica ed evidenza ci dicono altro. Le similitudini ci sono ma certo non è lo zoppicante gioco di prestigio che propone il piccolo comandante di Kiev. Davanti al Cremlino e alla Knesset c’è un motivo del contendere, un affronto intollerabile, da parte di Kiev ed Hamas. Un affronto che colpisce storia, identità nazionali e potere. E per potere dalle parti di Putin e Netanyahu s’intende, prosaicamente, l’opportunità di continuare a decidere per il presente ed il futuro prossimo, le sorti della propria nazione. Non lasciare la stanza, dunque.
C’è uno squilibrio di forze in campo, almeno all’inizio. Russia ed Ucraina non sono equiparabili, così come Israele e Hamas. Dopo arrivano gli altri, e la similitudine tra Israele e Russia qui scompare. Perché a cambiare lo scenario pensa il solito Biden che, in nome del diritto internazionale, non esita a sostenere la derelitta Ucraina e in nome di un realismo fatto di sorrisi e sangue non perde tempo a ragionare sugli innocenti a Gaza. Non pensa neanche lontanamente a paragonarli agli innocenti di Kiev, Mariupol o Kherson. E se per questa terra martoriata c’è già un piano Marshall pronto ad essere messo sul tavolo dopo la fine del conflitto – con i soliti uomini d’affari, intermediari, imprenditori e banchieri ad attendere fuori dalla porta – per i buoni affari delle multinazionali possiamo esser certi che Gaza distrutta rimarrà com’è. Non si sposterà pietra senza l’assenso di Gerusalemme.
I due conflitti, Ucraina e Palestina, servono ora almeno a questo: guardare l’uno nello specchio dell’altro, con le nostre contraddizioni di rimando, fino al punto in cui non riusciranno più ad essere tali. Ma se le parole addomesticate dalle diplomazie possono far passare le similitudini di un Zelensky con la svagata noncuranza con cui si avverte dà la parola a qualcuno e già si pensa ad altro, le immagini bussano alla coscienza di ognuno. E qualcuno finirà per bussare ancora alla porta degli innocenti, come accaduto il 7 ottobre, in ogni parte del mondo. E allora sarà difficile, molto difficile, fermare l’orrore.