Dunque se n’è andata Sinéad Marie Bernadette O’Connor, sbattendo la porta su sé stessa.
E’ stata sul punto di passare oltre molte volte, e sembrava da non prendere sul serio. Una disadattata, uno sbocciare d’intemperanze e piccole follie, una dietro l’altra. Ma alla fine la credevamo destinata a trascinarsi su questa Terra, suo malgrado. E invece no. L’hanno trovata senza vita, ed è un’espressione, questa, che fa riflettere, se usata pensando a lei.
Sinéad, la sua voce
Sinéad O’Connor è stata una creatura di talento, una cantante che con la sua voce aspra è andata a toccare momenti destinati a restare senza segno, in una compiuta indeterminatezza, ed è stata un paradigma, un piccolo racconto morale di come tutto passa, e passa la Bellezza. Perché era bella davvero, con una voce che era un grido, un rantolo, un sospiro e ancora un grido aspro, come un frutto colto prima del tempo.
Ed era aspra lei, sempre. Bella e allo stesso tempo spoglia di sensualità, si potrebbe dire, senza essere fredda. Un mistero, a suo modo. Forse era il vero mistero di Sinéad, qualcosa di difficile da spiegare: passare da un amore ad un altro, e dopo ad un amante, un marito ed un altro ancora. E tuttavia sembrare così lontana dalla fisicità, da quelli che sono le leggi corporee di ogni unione. Sembrava avere le stimmate della mistica, Marie Bernadette, senza saperlo. E forse lo era, una mistica dell’inquietudine per la quale il corpo era quasi d’impaccio, pur facendone uso con leggerezza e, spesso, con poca parsimonia.
Il corpo di Sinéad. E l’amore
La immaginavi senza abiti e no, pensavi che era meglio vestita, non perché la sua bellezza nuda potesse mancare di qualcosa. No, era tutto degno di nota, sebbene accennato. E’ che il suo corpo sembrava già appartenere ad un altro mondo, forse davvero il suo. Era per questo che la sua mente, qui, non era disposta a darsi pace. E allora l’ombra del suo corpo andava a rotoli, e sembrava dimenarsi, quell’ombra, in un corpo a corpo con la sua mente. Era un continuo cercare amore e, allo stesso tempo, un sputargli in faccia in qualsiasi viso l’amore gli si palesasse, e per pochissimo tempo. Il tempo sufficiente per stringere una fede nunziale, illudendosi che fosse l’ultima o il tempo di una stretta nell’ombra ed un trascinarsi nel letto, con un nome nuovo che non ricordava più, una settimana dopo.
E così passava la vita, e la Bellezza, di Sinéad anche. Rimanevano gli occhi, forse le ciglia, le sopracciglia lunghe, insistenti e marcate come un pensiero che, continuo, le attraversava la mente. Se ti fosse passata accanto non l’avresti riconosciuta, tanto era cambiata dalla ragazza della giovinezza, e avresti potuto decifrare quel volto, irriconoscibile, proprio dagli occhi. Da quella strana linea ascendente, verso un pensiero, quando ti guardava e sembrava dirti che, no, tu non avresti capito. E c’era anche una linea in quegli occhi, dall’angolo interno a quello esterno, verso le tempie, che sembrava il percorso di una fuga, dopo aver osservato il mondo, quanto bastava.
La fine
Ecco, Sinéad diceva al mondo di andare a farsi fottere. E anche il suo corpo, l’ombra del suo corpo, poteva fottersi, perché fino a quando stava in questo, di modo, non meritava altro. Così la sua bellezza svaniva. E lei, in qualche modo sembrava esserne lieta, passando di pensiero in pensiero. Da un pensiero cupo ad un altro. La voce era quella di sempre, lei no. Perché non era mai stata ferma in un istante. Scalza sui carboni ardenti della vita sembrava saltare, fingere una danza della propria Terra, ma fingeva, sempre, e senza mentire.
Come le imperscrutabili creature della Natura, che fingono di essere altro, e ti chiedi chi possa aver insegnato loro quella conoscenza così complessa, che possa averle ammansite con il libro della Sapienza, fino a farlo diventare morfologia in movimento, corpo che finge e si nasconde, alla perfezione. La ragazza di Dublino sembrava cercare quella Sapienza, e sapere di esserne orfana. Non poteva custodirla nel corpo che l’aveva preceduta da qualche parte né nella sua mente. Ed ecco che Sinéad Marie Bernadette O’Connor vagava, senza dimora, da un pensiero all’altro. E ogni pensiero è stato un dolore, fino alla fine. Fino all’ultimo pensiero.