E alla fine è iniziato il disastro. Venti giorni di attesa, da quel 7 Ottobre che cambierà il mondo non sono bastati.
Non ha voluto attendere oltre. E’ come se temesse che gli passasse la rabbia, Israele, incapace di ragionare oltre i confini del proprio livore, se guardasse ai limiti imposti dalla realtà. Incapace di vedere l’illusone di forza che è data da una congiuntura malefica di opportunità e sdegno. Come in una rissa, dove devi picchiare presto e bene, altrimenti rischi di ragionare, avere paura e sembrare pavido. No, la grande Israele non può sembrare prudente, se questa scelta può essere barattata e fraintesa nei mercati dell’odio.
Perché quello che importa non è la scelta in sé, gli orizzonti morali, avrebbero detto due secoli fa. No, è l’idea di sé stessi, un crocevia che è messa in scena e propaganda. L’interpretazione del proprio personaggio, la ricerca di una coerenza che, alla fine, è solo una via di sopravvivenza, in un gomitolo inestricabile. L’intrico soffocante che Israele si è costruita attorno.
Israele non attende più ed entra
Occhio per occhio, dunque. Se qualche ingenuo ha pensato che Bibì Netanyahu – il perdente che ha trasformato il proprio paese in una caricatura della democrazia, in un’ombra dalla pazienza limitata, offesa da una prepotenza strisciante e ottusa, la propria – potesse arretrate, comprendere quale disastro stesse preparando è rimasto sveglio, stanotte, mentre l’esercito di Davide rendeva quello che resta di Gaza un luogo da cancellare. Perché questo è il disegno. Un’iniziativa senza pensiero strategico e ben al di là della vendetta.
Perché se la logica fosse stata solo quella della punizione venti giorni di assedio, il computo dei morti che ha presto doppiato le vittime dell’assalto di Hamas avrebbe portato a saziarsi anche il cuore più nero in cui pulsasse un barlume di logica. Ma no, non è così.
Bibì il sanguinario
Israele sembra voler chiudere i conti non solo con la Palestina – ma con parte della propria Storia, nella quale si è sentita reietta, negata e offesa oltre ogni parola. E, dopo l’ennesimo affronto di quel sabato maledetto, si inebria al piacere di sentirsi carnefice, come un lupo che fa strage del gregge, anche se è sazio, e quelle carcasse gli verranno a nausea più tardi, quando tenterà di cibarsene. Ma il piccolo Bibi, piccolo come il proprio soprannome, ha voluto sfidare il mondo ed il buonsenso. Scommettere sulla Storia e vedere il cielo in fiamme, stanotte, sopra Gaza.
E pensa, Bibì, che nessuno dopo quello che è successo – e ancora dovrà accadere – proverà ritegno e nausea nello stringere la sua mano, anche se trovasse un fazzoletto con cui renderla presentabile. “Sei un sanguinario” gridò il servo della casa di Saul a Davide, il re. Ed egli comprese. “Se mi maledice è perché il Signore gli dice di farlo” disse (2 Samuele, 16). Ma Davide il grande era Davide. Bibì è solo Bibì, per la svenuta di Israele. E del mondo intero.