Nonostante tutti i segnali di pericolo e un rischio concreto di fallimento la politica americana non cambia, dimentica di quanto accaduto negli ultimi venti anni.
Forse le cose devono arrivare sull’orlo del baratro prima di migliorare. Ma le parole di Joe Biden, in visita ad Israele dopo la folle mattanza di Hamas del 7 Ottobre fanno paura più dell’assedio di Gaza. Il presidente americano si presenta alla porta dell’amico di sempre in uno dei passaggi più cruenti del Medio Oriente di cui si abbia memoria e non esita a rileggere il copione noto, un testo ormai pieno di parole desuete, perché il mondo è cambiato, vertiginosamente, da quando Washington dava le carte.
E perdeva, anche allora, perché un potere quasi illimitato permetteva alla politica americana di fare il bello ed il cattivo tempo, e alzare la posta o correre ad un altro tavolo. La supremazia economica riusciva a rendere meno evidente la miopia politica e concedeva di rimandare all’infinito la resa dei conti. Ma quel mondo è finito, o sta per finire, benché a Washington si ostinino a vestire gli abiti del secolo scorso, pensando di essere alla moda. E questa volta il sarto si accinge a combinare un disastro irreparabile, senza scuse o rimedi, perché anche la vista, mai eccelsa, non è più quella di un tempo.
Iraq e Afghanistan
Il nodo è tutto stretto in due frasi del presidente con cui delinea ambizioni folli e limiti insormontabili della politica americana. Limiti più alti del muro al confine con il Messico, o il recinto incommentabile in cui è stretta Gaza. Biden ha bisbigliato come una persona cullata dalla propria saggezza, mentre ammoniva Bibi Netanyahu sul rischio di prendere di petto il terrorismo islamico e trattarlo come un animale qualsiasi, o di estirparlo dalle radici del mondo con un piano studiato sulle carte, nelle stanze in cui ci si illude di avere un potere assoluto e inattaccabile.
L’Iraq ha insegnato qualcosa, l’Afghanistan ha fatto il resto. A questo sembra accennare Biden. Un buon segno, verrebbe da dire, il sarto ha cambiato stoffa e un lampo meraviglioso ha schiarito gli orizzonti al suo sguardo. Ma la misericordia dura un istante e in un istante diventa il prologo di un’operetta dell’assurdo. Siamo gli arbitri del mondo, dice Joe Biden, possiamo essere, saremo decisivi a Kiev e a Gaza.
Hamas e Putin
Non dice proprio questo, in realtà, dice di peggio. Perché nomina e mette uno accanto all’altro Hamas e Putin, tracciando una lieve differenza, solo per carità di logica, si direbbe. Un’affermazione sconcia e follemente imprudente, che neanche ai tempi della Guerra Fredda si correva il rischio di ascoltare. Perché rendere indistinguibili gli avversari, e vestirli con il comune abito dei nemici, quale che sia l’entroterra storico, politico e culturale da cui provengono, rivela una semplificazione mortale ed infantile nell’affrontare i problemi del mondo. Biden è apparso come un bambino afflitto dalla malattia che ti rende precocemente anziano nell’aspetto, la sindrome di Hutchinson-Gilford. Ecco, il nostro sembra un dodicenne che di anni ne dichiara 80. E’ convincente il bambino malato, ed ha ottenuto un’arma. E sa di poter andare a scuola, con quella nello zaino, e poter separare i buoni dai cattivi, fare comunella con i primi e punire i secondi. Venite a me, bambini, sembra dire ai compagi di classe, ho un’arma. Metteremo ordine. E fa proseliti, il bambino, mentre gli altri, gli indifesi, vengono uccisi da Hamas e ora attendono la stessa fine, a Gaza.