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Giorgia ed il Ministro: smettetela di piangere e osservate i dipinti di Lascaux

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C’è stata una ragazza, giorni fa, che non ha trattenuto l’emozione ed ha pianto, davanti al Ministro dell’Ambiente, Gilberto Picchetto Fratin.

Un’estate calda, gli incendi, dopo un’altra calda estate ed altri incendi. Il clima è il pane dei nostri giorni, e non sappiamo più da quante stagioni. Ma non dovrebbe essere stato un tema nascosto, mai. In altre generazioni era lì, certo come il ritratto dei nonni nel salotto, anche se con accenti diversi.

Il clima era il raccolto, l’economia domestica prima ancora della ricchezza della contrada e del Paese. Il clima era il volere degli dei, dopo è stato la benevolenza o il dispetto di un Dio inascoltato. Per qualche tempo la colpa per il cattivo clima non è stata di nessuno. E’ durato poco. Il tempo di pensare quanto basta per convincersi di aver pensato davvero ed è diventato colpa dell’uomo, una meravigliosa pietra da scagliare.

La Senna ghiacciata nel 1709 e Bruegel il Vecchio, molto tempo prima

L’unico disturbo era trovare il colpevole, ma ci sono famiglie trasversali, galassie di pensatori che, di generazione in generazione, sono abili e lievi nel passarsi il testimone della pubblica accusa. Dunque fa caldo, ed è colpa di qualcuno. Chissà se invece del caldo ad aver messo i piedi sul tavolo fosse il freddo, se la Senna ghiacciasse come nell’inverno del 1709  – di chi sarebbe la colpa. Forse si tornerebbe a disturbare Dio. Ma in un un mondo dove tutte le voci devono pigolare e reclamare attenzione per la loro esistenza, e pigolare significa parlare di qualche cosa, ecco che il clima, la paura per l’estate più calda di quella precedente è il giusto becchime, manna e bambagia, la piccola propaganda per preparare il terreno a chi deve scagliare pietre. E’ cool parlarne, da anni, è senso civico, si dice, è amore per il Creato, dicono. Dopo pensano che la parola Creato chiami a sé l’idea polverosa del Creatore e dicono che è amore. E’ amore e tanto basta.

Gli attivisti di Extinction Rebellion occupano simbolicamente la Mole Antonelliana-Credit ANSA-Intellettualedissidente.it

Ma, nonostante tutto questo amore, i quadri nei musei cominciano a passare brutti momenti, con vernici variopinte gettate verso le tele da giovani che per un’estate meno calda sarebbero disposti a dare alle fiamme tutti i quadri del mondo.  L’amore è tutto. Ma non hanno studiato arte, statene certi, non hanno osservato i cacciatori in inverno e la mietitura di Bruegel il Vecchio, due quadri che raccontano il clima, un inverno gelido ed un’estate caldissima del 1565, senza che a nessuno venisse in mente di andare in giro ad imbrattare quadri.

Un mondo migliore

Forse il mondo migliora davvero, nonostante il clima, perché è trascorso poco più di un secolo da quando i giovani erano anarchici e facevano fuoco, uccidendo gli ultimi re d’Europa, forse disapprovandone i baffi a manubrio, e la Gioconda veniva portata via dal Louvre, in tram, poco dignitosamente, e nascosta in una stanza umida da un imbianchino italiano. Pochi anni ancora e un imbianchino austriaco avrebbe preparato guai peggiori. Così le estati hanno attraversato i calendari ed il clima è diventato sempre meno chiacchera di confronto con l’anno prima. Si è messa in mezzo la Scienza, con i suoi appunti ed i suoi studi.

Così, un poco alla volta, i calcoli sul clima sono diventati congetture e pensieri di un pugile suonato, mentre le mani che hanno tenuto la testa persa in pensieri senza capo né coda hanno cercato pietre da scagliare, quando la testa ha provato fatica e ha rinunciato a pensare. La fine è quella nota; una linea di demarcazione sul terreno per separare i buoni dai cattivi, una linea necessaria a trovare i responsabili di un clima che infastidisce e spaventa.

Trovare i colpevoli

Ecco allora la propaganda, perché parlarne è di moda. Ecco il caldo e l’angoscia, e si giunge presto all’ansia per il clima – un neologismo, questo sì, da prendere a sassate, anche sa ha ricevuto la benedizione laica dell’ American Psychology Association. Un’ansia da cui è sgorgato il facile pianto, verrebbe da dire, che ha coinvolto anche Gilberto Picchetto Fratin. Un nome e cognome così improbabili e demodé, ha il ministro, che ringrazi il Cielo se Giorgia non è un’anarchica pronta a conficcargli una pallottola in fronte per i mustaches che non ha. Lei piange, dice che ha paura ad avere dei figli per colpa del clima. Lui si commuove e forse fa in tempo a pensare che se fossimo nel 1914 sarebbe un uomo morto, e non di caldo.

Una recita, forse

Un feuilleton, un fotoromanzo ed una soap opera sudamericana in pochi istanti: la scena ha avuto successo perché – qualcuno ha detto con la solita cattiveria – Gorgia recita, di mestiere. E recita anche Gilberto Picchetto Fratin non perché sia un’ipocrita, ma perché ministro. Talenti da palcoscenico a parte, dimentichiamo il sospetto malevolo della messinscena da parte delle ragazza e fermiamoci al pensiero di Giorgia che piange e ha paura dei cambiamenti climatici.

I giovani di Fridays for future manifestano per il clima- Credit ANSA-Intellettualedissidente.it

Un timore democratico, che coinvolge chi frequenta l’accademia di arte drammatica e chi non sa nulla di recitazione. Cerchiamo di non essere troppo cattivi, la paura è reale. Ma qui ancora una volta, dobbiamo tornare all’arte, e ai dipinti. Non a quelli imbrattati dalle incursioni nei musei. Dobbiamo andare molto indietro nel tempo, quando il clima non si misurava, il sole era uno solo, non quelli moltiplicati dai nostri pensieri, e  all’ombra che la nostra stella disegnava sul terreno si doveva prestare attenzione. Nient’altro, a parte una moltitudine di altre cose.

I dipinti di Lascaux

Nella Sud della Francia ci sono queste pitture rupestri, dipinte 17 mila anni fa. Si pensa alla notte dei tempi e l’immagine sembra ad un tratto appropriata, nonostante le infinite vaghezze del fiabesco. Ma lì, sulle rocce nude, di fiabesco c’è solo l’uomo e la sua cruda realtà. La forza, la capacità di osservare, comprendere e ritrarre, un mondo talmente distante dal nostro che è impossibile pensarlo davvero. Un mondo che era un’unica cosa con il pericolo e tutto ciò che dal pericolo nasce:  la paura, il senso di smarrimento, il panico. Ma sono parole che descrivono qualcosa che proviamo oggi.

Quel mondo, il suo apparire, come veniva percepito, ci resteranno per sempre ignoti, tranne che per quei graffiti sulle pareti. Ecco, osservi una ragazza che piange perché vede da lontano le immagini di incendi e dopo pensi alle immagini nelle grotte di Lascaux. E allora ti domandi cos’è il nostro mondo, la Terra, in cui noi viviamo rispetto a quella che fu loro. E noi abbiamo paura, e riceviamo comprensione se diciamo di non volere figli.  E, pensi, infine, se siamo degni di quegli uomini lì che hanno vissuto per noi inverni glaciali ed estati nel caldo più folle per fare in modo che noi vivessimo ancora, qui, 17 mila anni dopo.

La ragazza ha paura

Pensi a questo e le lacrime di una ragazza ti appaiano stupide e folli in egual misura. Osservi quell’uomo anziano, con un nome non meno assurdo delle lacrime a cui cede in un batter di ciglia e ti domandi se Gilberto Picchetto Fratin non è forse il nome con cui nella Commedia dell’Arte si indicava l’ingenuo di turno, con i pantaloni di sacco. Perché nel piagnisteo il ministro è caduto con tutte le scarpe e verrebbe davvero voglia di provare a vendergli qualcosa, la sabbia di quando l’estate era meno calda, dieci anni fa.

Incendio di rifiuti a Ciampino, cosa succede al mondo?- Credit ANSA-intellettualedissidente.it

Dopo pensi ai dipinti rupestri e ti commuovi davvero. E se dopo hai paura è perché ti accorgi che il valore di quegli uomini, laggiù in fondo alla Storia ed al tempo, era infinitamente superiore al nostro. Ci spaventiamo e non riusciamo ad indignarci per altro, in egual misura. Forse dobbiamo vivere nell’inferno, per capire, e vedere le cose raffigurate nella giusta proporzione, in quella parete caotica che è la nostra mente. Forse le persone in Ucraina, Siria o in Afghanistan sono più simili  agli uomini di Lascaux di quanto riusciremo mai ad esserlo noi.

Cina e Stati Uniti

Ma forse il pericolo è reale, come lo era la tigre dai denti a sciabola, il predatore lì ad attenderti fuori dalle grotte, in quelle mattine di 17 mila anni fa. E la preda eri tu, in pieno inverno o nell’estate torrida. Forse un colpevole c’è. E allora ti domandi chi avrà il coraggio di puntare il dito contro la Cina e gli Stati Uniti. Perché qui la vera paura non è avere figli, ma quando arriva il momento di chiedere conto ai Padroni del mondo, perché sono loro a sporcarlo e comprometterlo. Gli Stati Uniti sono quelli che decidono quando inizia una guerra e quando deve finire, con l’Afghanistan abbandonato come si lascia una casa in fiamme, una casa di povera gente, e nessuno qui in Occidente a piangere. La stesso scempio in Iraq.

La Cina è il Paese del mercato di Wuhan e di un laboratorio, si dice.  Da lì un’epidemia ha travolto il mondo: 7 milioni di morti, e per avvicinarti al numero dei contagiati devi moltiplicare per 100 e forse non basta. Nessuno a chiederne conto, anche qui, e devi stare attento quando parli di Wuhan, perché presto o tardi arriva il politicamente corretto a chiuderti la bocca con un fazzoletto, quando va bene. L’estate è troppo calda? Bene, si cercano giovani impavidi e forti, capaci di puntare il dito contro questi due Signori e sfidarli in armi, quando l’incendio sarà alto e si dovrà dare battaglia. Nella schiera, al momento sparuta e malmessa, mi sembra di vedere un ministro in braghe di sacco e una scudiera piagnucolante. E forse non hanno capito contro chi devono combattere. Siamo messi male, e non possiamo nasconderlo. Ma fa tanto caldo e le lacrime della ragazza commuovono. E allora ti domandi come ci avrebbero raffigurati gli uomini che furono, sulle pareti di una grotta, a Lascaux.

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