Il fascino della messa in latino, carica di storia, di mistero e di tradizione, sta dividendo la Chiesa cattolica
Ci sono tra i 4.500 e i 5.000 preti che nel mondo celebrano la messa in latino, secondo l’antico rito romano. La stima è dell’associazione francese Paix Liturgique, di riferimento nel mondo, presente anche in Italia, per l’attenzione al problema. E’ un blog in diverse lingue, che pubblica lettere di costante aggiornamento su temi liturgici, morali, sempre legati all’attualità.
Il Concilio Vaticano II ha invitato tutti i cattolici ad aprirsi al mondo, senza vietare la liturgia tradizionale. Che non è stata abrogata. Era possibile seguire l’ordo missae nella formula del motu proprio (che significa “di propria iniziativa”). Ogni papa ha considerato la questione, nel tentativo di tenere unita la Chiesa, rivedendo il motu proprio. Ovvero una lettera che indica come e quando è possibile celebrare in rito romano.
Benedetto XVI aveva lasciato ai parroci la facoltà di scegliere autonomamente il messale. Papa Francesco nel 2021 ha imposto una stretta: occorre l’autorizzazione del vescovo. Monsignor Rey è stato quindi osservato molto attentamente dal Vaticano. Nel 2022 gli è stata sospesa la facoltà di ordinare nuovi sacerdoti.
Il seminario di La Castille è tra i più dinamici di Francia. Dominique Rey, senza schierarsi con nessun gruppo particolare, ha trovato a quanto pare il modo di far coesistere sensibilità diverse. In tutte le lingue. Dalle più tradizionaliste alle più moderne. Il suo metodo funziona, ma è coerente con la Chiesa cattolica?
E’ un vescovo che, da quanto riferiscono su varie pubblicazioni, comprese alcune di tendenza socialista, acconsente e unisce. Ma il pontefice lo invita a seguire il magistero della Chiesa ed è pronto a un’altra decisione drastica e molto amara.
In quale lingua celebrare, dunque? Il rito antico è quanto mai suggestivo e ispira un soave senso di appartenenza, rincuorando l’identità cattolica. Non si comprende? Già René Chataubriand, due secoli fa, giustificava la lingua misteriosa e affascinante, che si addiceva per lui a un dio non rappresentabile, altissimo oltre ogni dire. Osserviamo che lo scriveva in una lingua corrente, il suo francese.
Gesù di Nazareth predicava l’amore del prossimo nessuno escluso, sempre nel dialetto locale, citando le Sacre Scritture. Il messaggio cristiano è, lo ricordiamo, tragico. Prendi la tua croce e seguimi. Ha spezzato le tavole della legge. La contraddizione e la rottura, in forme radicali, fino alla morte e resurrezione, sono nel cuore del messaggio cristiano. Ma le cronache su mons. Rey non ne parlano.
Mons. Rey, già da vescovo, si è interessato alla megachurch del battista californiano Rick Warren. A La Castille, tra i vigneti di Provenza, si sfiorano jeans e tonache, arrivano seminaristi latino-americani, oltre che francesi ed europei. E’ un crogiolo internazionale. Dal quale si immagina una nuova Chiesa che contrasti i poteri mondani, con il proprio latino fuori tempo. Con un’identità incrollabile, che non si piega mai. Troppo rigida? Certo è piena di invettive contro il ’68 e la sinistra. C’è chi dall’interno consiglia resilienza, evitando lo scontro col Vaticano.
E’ uno start-upper dell’evangelizzazione, come l’ha definito il sito Les Jours, di tendenza socialista, dunque potenzialmente tutt’altro che in linea con i fan della liturgia preconciliare. Sacerdote rivolto verso l’altare, verso Dio, dando le spalle all’assemblea, secondo l’antico rito romano.
Il vescovo, va detto, è un carismatico dirompente che sta diventando una star reazionaria, benché reazionario non sia. Quel che ha saputo fare, si racconta, è trasformare la sua diocesi in un laboratorio di ricristianizzazione all’americana, però, ecco l’innovazione, con idee conservatrici al centro. E qualche collaboratore che vanta antenati che combatterono nelle crociate. E un erede degli Orléans.
La linea di papa Francesco è notoriamente aperta e progressista, tale da mettere in imbarazzo un gran numero di fedeli francesi dall’animo conservatore. In Francia la sensibilità alla questione identitaria, dunque delusa da Bergoglio, è elevata. La metà dei sacerdoti ha almeno 75 anni. E inoltre un terzo dell’elettorato cattolico si è riconosciuto, nel secondo turno delle presidenziali del 2017, in Marine Le Pen e nel suo programma.
Che cosa vogliono? Stop alla legge anti-omofobia in nome della libertà di espressione, adozione di bambini da parte di famiglie eterosessuali, e da esse soltanto, e matrimonio esclusivamente per gli eterosessuali. Senza assolutamente aperture di alcun tipo a divorziati o addirittura gay, non sia mai. E divieto di aborto.
I cardinali rigoristi in Francia si fanno sentire grazie a un’associazione creata nel 2012, Manif pour tous, che ha una vivace branca rigorista. Quest’associazione promuove la ricristianizzazione della Chiesa. Marion Maréchal-Le Pen è il volto di questa tendenza. E’ considerata più in linea con la Chiesa della “laica” Marine Le Pen I fedeli rigoristi si riconoscono nei cardinali Gerhard Müller, Raymond Leo Burke e Robert Sarah.
I tradismatici guardano alla diocesi di Rey, nati dall’incontro fra tradizionalisti e carismatici. Si legano alla generazione della Giornata Mondiale della Gioventù 1997 di papa Wojtyla, già santo, e ai ragazzi dell’analoga GMG di Madrid del 2011, convocata da papa Benedetto XVI, di cui già si invoca la santità subito. I papa boys sono cresciuti e la loro tipologia si evolve, dunque. E la famiglia conservatrice si allarga. Di fatto, però, il dolore delle diversità e delle emarginazioni e miserie di ogni genere continua a non parlare in latino. Mentre chi non ha potuto studiare nulla comprende.
Nato nel ’52, mons. Rey prima ha seguito un master in economia politica e un dottorato in economia fiscale. Non ci si stupisca, ricordando che l’evangelista San Matteo era un esattore fiscale. Poi, lavorando per il ministero delle Finanze del Ciad, si è avvicinato al pentecostalismo del pastore Jacques Giroud.
Tornato in Francia e diventato ispettore fiscale del ministero delle Finanze, a Parigi ha scoperto un’associazione nella quale è entrato a far parte e si è formato, la Comunità dell’Emmanuele. Di cui è diventato un importante esponente. Ha seguito la vocazione sacerdotale, evitando però l’insegnamento allora progressista del seminario del carinale Marty. Ha scelto invece la comunità dell’Ordine dei frati predicatori, a Parigi.
Nominato parroco della Parrocchia della Trinità a Parigi, affidata alla Comunità dell’Emmanuele, ha dato un’impronta tradizionalista e si è distinto per molte attività, in particolare per il Caffé cristiano in rue de Pigalle, all’interno di un quartiere considerato licenzioso e dominato da qualcos’altro che la grazia dello spirito. Assegnato alla diocesi di Fréjus-Tolone, ha accolto comunità brasiliane tradizionaliste e carismatiche.
Sempre in una lettera – oggi diremmo report – del sito Paix Liturgique, pubblicata e tradotta da messainlatino.it, si racconta che nella tenuta di La Castille, fra i vigneti, il seminario di mons. Rey è arrivato a ben 90 seminaristi. Alcuni dei quali sono collocati in comunità esterne, avendo raggiunto, incredibile nel XXI secolo, il tutto esaurito. Prodigioso, negli anni del crollo verticale delle vocazioni.
Notevole, ma un vescovo deve puntare al successo? Il dramma della croce piace molto meno. Il cristianesimo tragico di un Dostoevskij attraversa una sofferenza di cui le cronache su mons. Rey non parlano proprio. C’è un pericolo in più, per il Vaticano che mai ha saputo trovare una soluzione all’enigma del cristianesimo nella modernità.
Se papa Francesco nominerà un coadiutore, commissariando di fatto il vescovo Dominique Rey, quel coadiutore potrebbe essere in sintonia con l’estrema destra francese, con i più rigoristi e rigorosi. Per Libération, che ha dedicato un lungo servizio al monsignore, sarebbe un regalo enorme per la destra francese, forse ancora più pericoloso dello stesso vescovo messo in discussione.
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