Paolo Emanuele Borsellino, noto magistrato vittima di cosa nostra, nacque a Palermo il 19 Gennaio del 1940, da una famiglia della medio alta borghesia palermitana, secondo di quattro figli, unico rimasto in vita il terzogenito Salvatore.
Borsellino proveniente dalla parte sud di Palermo, nella zona Kalsa, già nella tenera età incontrò il suo più grande amico, Giovanni Falcone, con il quale oltre a condividere il triste destino nella lotta a cosa nostra, condivide le partitelle di calcio da bambini sotto casa, gli studi e tante giornate con le rispettive famiglie.
La formazione di Paolo Borsellino e le prime difficoltà
Terminata la scuola dell’obbligo, Paolo decise di frequentare il liceo classico “Giovanni Meli” di Palermo.
Nel 1958 si iscrive alla facoltà di giurisprudenza di Palermo, con numero di matricola 2301. dove ritroverà ancora una volta l’amico e collega Giovanni Falcone.
Proveniente da una famiglia politicamente simpatizzante per la destra, Borsellino, decise nel 1959 di iscriversi al Fronte Universitario D’Azione Nazionale, dove occuperà anche il ruolo membro esecutivo provinciale.
All’età di ventidue anni, il 27 giugno 1962, consegue la laurea con la votazione di 110 e lode.
Pochi giorni dopo tale traguardo, il padre, Diego Borsellino, già malato, morì. Paolo assunse il ruolo di capofamiglia, impegnandosi nel mantenere attiva la farmacia di famiglia, nell’attesa che la sorella Rita, completasse la laurea per poter riprenderne la titolarità. Dunque la farmacia fu affidata in gestione, per un affitto di 120.000 lire al mese, generando un periodo molto duro per la famiglia Borsellino, rinunciando a molte cose e vivendo di sacrifici.
Nel 1967 Rita consegue la laurea in farmacia e Paolo già entrato in magistratura, con il suo primo stipendio, pagò la tassa governativa.
Nel 1968, convola a nozze con Agnese Piraino Leto (1942-2013), da cui avrà tre figli, Lucia nel 1969, Manfredi, oggi commissario di Polizia nato nel 1971 e Fiammetta nata nel 1973.
L’ingresso in magistratura e le prime indagini contro Cosa Nostra
Superato il concorso del 1973, divenne il magistrato più giovane di Italia, e dopo le prime esperienze lontano da Palermo, ma rimanendo sempre in Sicilia, inizierà ad affrontare attivamente il fenomeno mafioso di cosa nostra, al fianco del Capitano dei Carabinieri Basile (altra vittima di mafia) prima e nel tribunale di Palermo poi, essendo uno dei capisaldi del Pool Antimafia istituito da Rocco Chinnici presso l’Ufficio Istruzione del tribunale del capoluogo siciliano.
Con il pool iniziano le indagini che portano ai nomi di Michele Greco e Totò Riina, boss che hanno determinato le guerre di mafia nella città palermitana, e con le confessioni dei collaboratori Buscetta e Contorno, le indagini acquisirono ancora più valore, e dando una fondatezza a tutto. Ricostruendo anche il modo in cui cosa nostra puliva i soldi, gestendo cave, e mercato della macellazione clandestina.
La risonanza mediatica delle indagini di Paolo Borsellino
La risonanza mediatica del pool antimafia, ha portato cosa nostra ad iniziare le proprie attività contro chiunque volesse impedirne la propria espansione, per ragioni di sicurezza infatti, nel 1985 sia il giudice Falcone che il collega Borsellino, con rispettive famiglie al seguito, vengono trasferiti nell’isola dell’’Asinara, sotto regime di stretta protezione.
Per portare avanti le indagini ed il lavoro del pool antimafia.
Nel frattempo prese vita il maxi processo di Palermo, che ha avuto sede nell’aula bunker creata ad hoc per l’evento, nella casa circondariale dell’Ucciardone.
Iniziato nel 1986, terminato nel 1987, vide condanne molto pesanti, come 19 ergastoli ed altre 323 condanne definitive.
Cosa Nostra prepara la propria vendetta, gli ultimi anni e la morte
La risposta di cosa nostra, non tarda a farsi attendere, ed iniziano una serie di omicidi per le più alte cariche della legalità palermitana, attentati di una barbaria e violenza inaudita quelli che dal 1988 fino al 1992, tingono di rosso il capoluogo siciliano.
Il 23 Maggio 1992, a perdere la vita è Giovanni Falcone, amico d’infanzia di Paolo Borsellino e compagno di battaglia, Falcone morì all’ospedale policlinico di Palermo, tra le braccia del suo migliore amico Paolo, deceduti sul colpo, nel tratto autostradale di Capaci la compagna del magistrato Francesca Morvillo e gli agenti della scorta, Vito Schifani, Francesco Montinaro e Rocco Di Cillo.
Dopo quell’avvenimento, Borsellino capì di essere anche lui un bersaglio, definendosi persino un morto che cammina, ma pur sapendo che un carico di tritolo era arrivato in città per lui, non mollo ne la presa, continuando le sue indagini, né la lucidità, iniziò a preparare testamento ed assegni per i figli.
Passarono esattamente 57 giorni, il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato con la famiglia nella casa al mare di Villagrazia di Carini, aver passato un po’ di tempo con i figli, si recò presso l’abitazione della madre e della sorella, situata in Via D’amelio, dove alle 16:58 una 126 carica di tritolo esplose distruggendo oltre la vita del giudice, quella di tutta la sua scorta, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Claudio Traina e Walter Eddie Cosina.
Sul luogo della strage, non venne mai ritrovata l’agenda rossa del giudice, dove segnava gli appunti della trattativa stato-mafia, questo avvenimento getta ancora più tristezza su un avvenimento terribile che ha cambiato la storia del nostro paese.