Il Vesuvio ha tragicamente fermato nel tempo, rivelandoli, dei particolari sulle antiche campagne elettorali di cui ci si potrebbe vergognare
Ci sono messaggi lanciati apposta per essere ricevuti e consumati in poco tempo, nella stretta attualità. Innanzitutto la propaganda elettorale. Nell’antica Roma le forme della comunicazione erano molto diverse, organizzate comunque secondo tecniche consolidate nella prassi di quei tempi, ideate e sperimentate per aver effetto subito, non per durare.
Nemmeno il “giornalismo” dell’epoca voleva sfidare i secoli, compito lasciato a linguaggi di tutt’altro genere, come la poesia. Gli Acta Urbis erano tavolette bianche su cui venivano riportate le decisioni del Senato, gli atti di interesse pubblico come pure informazioni sulla famiglia imperiali e altri personaggi famosi. Curiosità sapide sulla vita privata, diremmo gossip. Nessun originale degli Acta urbis è sopravvissuto alla furia del tempo. Lo storico Svetonio ci fa sapere che fu Giulio Cesare a far diffondere quelle tavolette, che gli scribi colmavano di serie informazioni e golose novità sulle star dell’impero, le quali non desideravano altro che si parlasse di loro.
L’analisi della vita quotidiana riduce le distanze
A loro volta, le scritte sui muri che per propaganda elettorale venivano lasciate sono tutte scomparse. Fa eccezione, come in tanti altri casi, Pompei che la lava del Vesuvio ha tragicamente imprigionato in una capsula di tempo. Così, fatti e situazioni che nessuno si aspettava venissero mai studiate sono diventate celebri. Compreso ciò che si faceva per convincere a votare l’uno o l’altro candidato. Cose che il pudore avrebbe nascosto per sempre. In quel momento ogni ritegno, ogni sentimento di vergogna venne inconsapevolmente annullato.
Dovevano fare storia le scritte, scoperte di recente, sui muri interni della casa di un sostenitore di Aulo Rustio Vero. Il quale si era candidato come magistrato edile, e veniva sostenuto fra gli altri da un suo amico o liberto. Lo dichiarano apertamente le scritte, rivolte a chi partecipava alle cene e agli incontri in generale organizzati per sostenere la campagna elettorale. Interessante la presenza di un grande forno per cuocere il pane, finanziato dal magistrato edile in pectore. Pane per gli elettori, dunque.
Un candidato che si allea con un fornaio
Gli edili si occupavano della cura della città: innanzitutto la gestione delle strade, dei bagni pubblici e degli edifici, e poi della gestione dei mercati e infine dei giochi pubblici e circensi. Gli ultimi scavi ci confermano che c’era poco da stupirsi che un candidato si alleasse a un fornaio. Era un caso di voto di scambio, tutt’altro che raro all’epoca. E leggendo le cronache dei nostri giorni, pare che nulla sia cambiato. Le campagne elettorali così condotte costavano non poco. Una volta eletto, il vincitore poteva rifarsi. Prima però doveva convincere gli elettori, facendo promesse e dimostrando capacità.
Presso la casa dell’amico di Aulo Rustio Vero gli scavi sono ancora in corso. Ne ha parlato l’e-journal del Parco archeologico di Pompei, che ha pubblicato il 28 settembre uno studio sulla propaganda di allora, intitolato “Passione elettorale nelle mura domestiche: un larario, una macina, un candidato”. Quelle scritte risultano incomplete, forse perché sono prove, fatte in casa, da uno scriptor che poi avrebbe propagandato le qualità del candidato sui muri esterni. A Pompei se ne sono trovate in abbondanza, su taverne, botteghe, officine, circoli associativi, terme, teatri e locali aperti a tutti.
Con Aulo Rustio avrete sempre il pane
Nell’abitazione analizzata da Maria Chiara Scappaticcio, Gabriel Zuchtriegel, autori dello studio appena pubblicato, è stato trovato anche un altare in muratura dipinto. Vi si vedono dipinti due serpenti di stucco, e sono stati trovati anche i resti dell’ultima offerta votiva, forse interrotta dall’eruzione fatale. Accanto, alcuni mesi fa sono stati trovati i resti di due donne e un bambino vittime del Vesuvio. A scuola hanno spiegato che a Roma caput mundi il candidato, che prendeva il nome dalla tunica candida, bianca, si recava così vestito a far campagna elettorale (ambitus) nel Foro, in piazza.
Ambitus significava proprio andare in giro, ambire, girare qua e là. L’aggettivo “ambizioso” ha palesemente quest’origine. Col proprio seguito, il candidato andava a chiedere il voto parlando personalmente con amici e conoscenti, persone note e meno note. Lo aiutata un collaboratore che gli ricordava i nomi delle persone che aveva avvistato e voleva andare a salutare. Questo ambitus è il momento più propriamente pubblico, durante il quale si parlava comunque a tu per tu con gli interessati. Pompei ci spiega il retroscena, ai limiti della legittimità. Si può ribattere che “non di solo pane”, comunque la scoperta ha un grande valore.