Cosa c’è dietro l’affascinante ipotesi che gli antichi Egizi non siano i soli autori della ciclopica scultura eretta nel deserto? La parola alla scienza.
Sin dai primi studi scolastici, la curiosità abbonda quando si tratta di antiche civiltà: più sono arcaiche, più sorgono strane domande, in particolare in relazione ai numerosi misteri che oramai accompagnano da decenni la cronaca divulgatrice. Se queste istanze possano dare ulteriori input di ricerca nella formazione delle nuove generazioni, ben vengano in un certo senso.
Quando poi ci si trova di fronte alle antiche vestigia e se ne contemplano le note, mastodontiche dimensioni delle strutture più famose al mondo, ecco che il confine tra realtà e fantasia sembra vacillare. Tanti sono gli arcani della storia più o meno chiariti dall’archeologia e dalla scienza, ma duri a morire nella mente di vari appassionati che ne danno una lettura ampiamente fantascientifica.
In alcuni casi, le interpretazioni si fanno invece più sottili e dall’aspetto verosomigliante, al punto che il fascino di certe teorie sembra autorizzare a gettare alle ortiche le informazioni ricevute dal sussidiario alle trasmissioni scientifiche, oltre le visite ai musei.
Non esiste soltanto la celeberrima Stonehenge. Alcuni di questi misteri si trovano persino in Italia e sono attribuiti ad una civiltà di cui si conosce praticamente tutto e senza ambigui luoghi comuni, come gli antichi Romani: eppure, le arcaiche colonne che formano il “cantiere” delle cave di Mozia, in Sicilia, sono blocchi in pietra che nessuno sa come siano stati trasportati. O come abbiano fatto (gli ingegneri romani) ad innalzare le altissime colonne dei templi di Palmira.
Ma se bisogna ricercare una civiltà avvolta da un catalogo di misteri, grazie anche a troppe ricerche ancora in corso, è sicuramente quella egizia. Nelle letture alternative della storia, si è detto di tutto su questa; c’è chi sostiene addirittura con certezza che si tratta di una civiltà aliena.
Certo, questo popolo millenario ha lasciato al mondo testimonianze che sembrano andare oltre il più diffuso senso della costruzione e dei significati: le piramidi, le tombe dei faraoni, l’ergersi di costruzioni perfettamente allineate alle costellazioni, i misteri e i significati dell’imbalsamazione e la morte.
E poi c’è lei: la sfinge. La più nota, quella ciclopica che si erge nel parco archeologico di Giza, sullo sfondo della grande piramide di Cheope. Forse non è un caso che gli stessi Greci abbiamo dedicato alla forma di questa scultura, dal volto umano e dal corpo di leone, l’enigma più antico della storia. In effetti, non si sa molto della sua “funzione”: l’ipotesi accreditata è che dovesse proteggere le piramidi, le tombe dei faraoni; e lo stesso volto della sfinge, pare che raffiguri il faraone sotto protezione.
Il suo valore per il popolo egizio non è ben chiaro, ma sicuramente di matrice sacra. Come sia stata creata, scelta la collocazione e quanto lavoro (e lavoratori) sia stato impiegato, non vi sono certezze. Di recente sono emerse delle teorie che lasciano sospettare che complice degli ingegneri egizi fosse proprio il vento del deserto, il quale abbia levigato, con la sua azione, i blocchi di pietra, e tutto il “personale” coinvolto intervenisse in un secondo momento.
È plausibile che l’originaria forma data dalla modellazione naturale della pietra in origine abbia suggerito l’aspetto leonino, comprensivo di zampe e testa. Ma oltre a confermare l’azione storica di collaborazione tra cultura e natura, non si può far altro che attendere l’esito del proseguimento delle ricerche.
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