Un tempo era nota come la prigione di Abu Ghraib, oggi invece si chiama la Prigione Centrale di Baghdad. La prigione, chiusa ormai dal 2014, si trova nell’omonima cittadina a trentadue chilometri dalla capitale dell’Iraq. La superficie si estende per circa 115 ettari e la prigione dispone di ventiquattro torri di guardia.
La dittatura di Saddam Houssein
Il nome di Saddam Kamel Hassan al-Majid ha sicuramente un impatto mediatico meno forte rispetto a quello del cugino Saddam Houssein. Tuttavia era proprio lui il capo delle forze speciali di sicurezza a gestire le torture e le esecuzioni di migliaia di prigionieri politici. La prigione è stata sotto il controllo della Direzione generale della sicurezza (DGS), anche nota come al-Amn al-`Amm (Pubblica Sicurezza). Si stima che solo nel 1984 circa 4.000 persone siano state giustiziate nella prigione di Abu Ghraib, almeno 122 nel febbraio/marzo 2000 e ulteriori 23 prigionieri politici sono stati giustiziati nel 2001.
La terribile scoperta sul comportamento dei soldati americani
Il carcere è finito nel mirino delle cronache mondiali per ciò che avveniva al suo interno. Sevizie e umiliazioni subite dai detenuti iracheni da parte dei soldati statunitensi in servizio proprio ad Abu Ghraib. La vicenda è giunta alla luce nel 2004 quando a livello internazionale sono emerse le torture che venivano compiute tra le mura della prigione. 60 Minutes in particolare, rotocalco televisivo statunitense, diffuse un reportage con le scempiaggini subite dai reclusi. I media di tutto il globo iniziarono quindi a mostrare le immagini allargando a macchia d’olio la complicità dello scandalo che toccò anche i militari del Regno Unito.
Obama, nel frattempo eletto presidente Usa, limitò la diffusione delle immagini crude fino ad apporne il completo veto. Il clamore mediatico che suscitò la vicenda portò al processo e alla condanna dei responsabili, tra i quali Sabrina Harman, una delle militari più presenti nelle foto, che fu condannata a sei mesi di carcere.
D’altro canto le proteste furono veementi, anche da parte delle organizzazioni umanitarie in virtù proprio delle violazioni dei diritti umani minimi. Anche il professor Philip Zimbardo, noto psicologo sociale, si occupò della macabra storia nel libro “Effetto Lucifero” nel quale evidenziò come il contesto de-umanizzò i colpevoli come purtroppo accade nelle guerre dove il nemico non viene visto più come un altro essere umano ma come qualcosa di diverso. E le autorità americane erano perfettamente a conoscenza della situazione, come accertato dalla Croce Rossa Internazionale e come poi confermato dalle pubbliche scuse manifestate dall’amministrazione Bush per il terribile accaduto. Ad esporsi pubblicamente fu l’allora ministro della difesa Donald Rumsfeld. Dal 2005 quindi le tv e i quotidiani statunitensi iniziarono a sollevare la questione dei detenuti fantasma imprigionati illegalmente.
La chiusura del carcere e il problema dei “detenuti fantasma”
L’epilogo del carcere, come facilmente intuibile, fu la chiusura decisa nel 2006 a seguito proprio dei terribili fatti ormai venuti irrimediabilmente a galla. Nel 2009 il penitenziario fu poi riaperto, completamente ristrutturato e rimodernato, sotto il nome di Baghdad Central Prison anche per prendere le distanze dagli orrori della struttura precedente. La capienza della nuova prigione era di circa quattordicimila detenuti. Nell’aprile del 2014, poi, il carcere chiuse in via definitiva con il trasferimento in altri penitenziari di tutti i detenuti ospitati in quel momento.
Inutile nascondere come la pagina fu nera per la storia americana data anche la reazione dell’opinione pubblica chiaramente di condanna nei confronti del comportamento dei soldati nei confronti degli iracheni. Da quel momento si aprì un vero e proprio dibattito circa i detenuti fantasma, quelli trattenuti in forma anonima, proprio dagli americani. Tra report e dichiarazioni dell’ex capo della CIA Michael Hayden il quadro che ne uscì fu tutt’altro che roseo scoprendo un vaso di pandora che non riguardò solo Abu Ghraib.