Pier Paolo Pasolini è uno dei personaggi che hanno connotato culturalmente il paese, cercando di andare a fare le pulci al comportamento degli italiani. Il suo lavoro è stato apprezzato partendo dal famoso romanzo incompiuto Petrolio e arrivando ai suoi pensieri sull’Italia, che si sono rivelati profetici e profondi.
Ma una delle figure che sicuramente rimarrà nella storia, a causa di un pensiero che si è rivelato tristemente profetico, è sicuramente Pier Paolo Pasolini. Parliamo di uno scrittore, un regista, un intellettuale che ha prodotto delle opere uniche nel loro genere, alcune anche documentaristiche come ad esempio il documentario Sana’a, che appunto cercava di testimoniare gli ultimi resti di una civiltà arcaica che stava scomparendo, così come il documentario di Comizi d’amore che, effettivamente, lo vede nella veste di intervistatore tra intellettuali (tra cui Oriana Fallaci, Ungaretti e Montale) e persone comuni.
Lo scopo di questo documentario era, invece, chiedersi come gli italiani avevano reagito al referendum sul divorzio e soprattutto che cosa rimaneva della coppia.
Per quanto riguarda invece i testi pubblicati, si ricorda in particolare Scritti corsari, un saggio che va a raccogliere gli articoli che firma per il Corriere della Sera.
Ed è proprio qui che, nel dicembre del 73, firmò un articolo di denuncia al consumismo, un tema che poi riprese in seguito varie volte, anche in uno stralcio di intervista che è facile reperire in rete.
Un’intervista che precede la sua morte, dove Pier Paolo Pasolini mostra uno sguardo cupo e preoccupato, al limite della disperazione per un mondo che continua ad osservare nel suo drastico mutamento e nel quale non si riconosce.
La società dei consumi, per Pasolini, va a costituire un nuovo totalitarismo.
Difatti, riteneva possibile dire che la globalizzazione andava a costituire un’arma di distruzione culturale ben peggiore di quanto poteva essere stato il regime totalitario fascista.
Sì una dittatura diventa un pericolo palese per la società, una minaccia nemmeno troppo nascosta, il consumismo nasconde invece un pericolo che passa in osservato grazie alla promessa di una presunta libertà per tutti, che è la libertà di consumare, di avere, un avere che toglie spazio all’essere.
L’aspetto totalizzante del consumismo deriva, infatti, dal fatto che ha un effetto omologante a cui non è possibile sfuggire.
E riesce ad allungare i suoi tentacoli la dove i dittatori non riescono ad arrivare direttamente.
Secondo Pasolini molto spesso le dittature si propongono dei modelli di civiltà che poi non riescono a realizzare nella pratica. Il fascismo stesso, nonostante la sua propaganda, nonostante le sue fondamenta reazionarie e nonostante la sua opera apparentemente monumentale, non era riuscito a corrompere tutti, a erodere le basi culturali contadine, operaie e sottoproletari.
Nelle case delle persone, di fondo, continuavano a imperversare le tradizioni, continuavano a circolare sempre le medesime convinzioni e gli stessi modelli culturali arcaici, che affondano le radici nel passato.
Poi ovviamente le persone tendevano a uniformarsi al regime totalitario fascista ma solamente a parole, manifestando una adesione formale, nulla più di questo.
Molto più semplicemente possiamo asserire che si trattava di persone che si limitavano a fare numero, più per convenienza pratica che peraltro, sicuramente non per vera convinzione nella maggior parte dei casi.
La televisione fornisce un modello unico che è troppo potente per essere scansato, entra nelle case delle persone e riesce ad imporre un modello a cui si finisce per arrendersi.
Questo modello fittizio e sostanzialmente imposto dall’alto riesce a sovrascrivere un modello culturale reale, il tessuto autentico e si potrebbe dire da un certo punto di vista sano del paese.
Il potere riesce così ad imporsi senza sfruttare la forza, ma andando a titillare le persone con delle false promesse e lusinghe.
In un intervento di Pier Paolo Pasolini, durante una trasmissione di Enzo Biagi, egli spiegava bene questo concetto manifestando come per una persona semplice, ascoltare una persona parlare in televisione, era in qualche modo da considerarsi un atto involontario di sottomissione. Difatti, si tratta di uno strumento che si subisce nella maggior parte dei casi in maniera passiva.
Un mezzo dove, volente o nolente, si subisce una presunta autorevolezza di chi parla senza contraddittorio da parte di chi ascolta.
Possiamo notare come le sue parole possano rispecchiare quello che poi sostanzialmente è successo nel corso del tempo perché tantissime persone, soprattutto collocate in quegli angoli di Italia più povera, abbiano imparato l’italiano non tanto a scuola quanto attraverso questo strumento.
Erano persone che magari conoscevano solo ed esclusivamente il dialetto locale e che non avere nemmeno avuto la possibilità di andare a scuola.
Pasolini notava come questo edonismo diffuso fosse più aggressivo e in realtà repressivo di qualunque forma di violenza attuata palesemente dal regime fascista.
Il problema principale era che la cultura italiana si basa appunto su innumerevoli tradizioni locali. I tanti dialetti, le tante forme culturali originali arricchenti, ad un certo punto si sono livellate e hanno deprivato le persone delle proprie radici e soprattutto della propria autenticità.
Questo processo, che era appena iniziato all’epoca di Pasolini, oggi è evidente in maniera palese.
La televisione è diventata uno strumento del potere che riesce con molta facilità ad imporre dei modelli che mancano del tutto di concretezza.
Modelli di consumismo dove l’uomo non è più uomo ma è diventato un consumatore, senza nemmeno accorgersene.
In realtà tantissime persone hanno criticato questo intervento di Pasolini trovandolo troppo feroce, soprattutto per la contrapposizione al regime fascista che, nel confronto, sembra quasi più umano. O quantomeno meno pericoloso.
I regimi totalitari bellici hanno utilizzato armi di distruzione di massa ma la televisione era per Pasolini un’arma di distrazione di massa, un mezzo utilizzato dalle persone per evadere da una realtà tangibile e fuggire nel desiderio costante di andare a soddisfare dei desideri che peraltro vengono inoculati a seconda delle esigenze del potere e della industrializzazione.
Le persone che hanno introiettato questo messaggio non possono che essere manipolate costantemente, condizionate a tal punto da aver perso completamente la propria anima oltre che la propria volontà.
Ad oggi le parole di Pasolini sono ancora uno strumento di riflessione utile a fare una importante autocritica se si cercano le responsabilità dello Stato in cui versa il paese.
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