Il re delle canzoni sentimentali, sottovoce, era un italo-americano di umili origini dalla voce indimenticabile
Se n’è andato all’età di 96 anni l’ultimo dei crooner, Tony Bennett. Il croon è uno stile, non un genere, quanto mai oggi lontano dalla moda, visto il trionfo di altri generi e stili estremamente differenti. I crooner, infatti, cantavano con voce dolce melodie lente, romantiche a volume basso, quasi sussurrando. Uno stile virile, dolce e senza aggressività.
Le ragazze una volta adoravano questo tipo di “cantanti confidenziali”, come li si chiamava in Italia fra gli anni 50 e 60, quando andavano di moda. La loro qualità del resto è fuori discussione: si parla di Bing Crosby, forse il primo crooner, di cui si diceva che “faceva l’amore col microfono”. Con Crosby, anche Rudy Vallee e Russ Colombo. E poi Perry Como, Frank Sinatra, Dean Martin. L’elenco è lungo e i nomi sono prestigiosi.
Ugole a volte non potenti: le loro voci sono adatte ad ambienti di dimensioni limitate, come un pub o un casinò, con un accompagnamento senza archi. Ideale l’accompagnamento di band di fiati, in grado di esaltare l’abilità espressiva di voci garbate e sensuali. Tra gli italiani, molto apprezzati erano Johnny Dorelli e Nicola Arigliano, amati soprattutto dal pubblico femminile, ma non solo.
L’alternativa erano gli “urlatori”, in quegli anni alla fine degli anni 50 in avanti, passando per il Punk, il Grunge fino ai giorni nostri. Inevitabile la voglia del pubblico di tornare di tanto in tanto alle belle e delicate canzoni classiche di Tony Bennett e altri grandi interpreti. Alcuni crooner hanno fatto fortuna anche in altri generi, innanzitutto Frank Sinatra. Il quale non se l’è sentita di rimanere confinato a un solo stile, volendo cercare un grande successo popolare. E così ha definito Tony Bennett “il migliore”.
Bennett per la verità era di origine italiana: si chiamava Anthony Dominick Benedetto, ed era nato a New York da genitori italiani. Suo padre era emigrato nel 1906 da Podargoni, in provincia di Reggio Calabria. Calabrese d’origine, anche se nata a New York, era pure la madre. Anthony Dominick, dopo essersi distinto per la sua voce sin da bambino, nel ’44 si arruola per combattere nella Seconda Guerra Mondiale, partecipando fra l’altro alla liberazione di un campo di concentramento, a Landsberg in Germania.
Terminata la guerra, torna a New York a cantare nelle trattorie e a fare il cameriere per guadagnarsi da vivere e intanto studia canto. Sarà Bob Hope, il grande comico, a dirgli di abbreviare il nome, consigliandogli di farsi chiamare Tony Bennett. Ha vinto ben 20 Grammy Awards e 2 Emmy Awards. Ha inciso 100 album in una carriera durata settant’anni. Ha cantato finché ha avuto fiato, dimostrando una longevità eccezionale, finché l’ha colpito l’Alzheimer nel 2016. Lo si è saputo però soltanto nel 2021.
Bennett ha cantato in pubblico fino al 2021, in un’esibizione con Lady Gaga a Umbria Jazz, e poi in casa, registrando, fino all’età di 95 anni. Memorabili i suoi duetti con Aretha Franklin e Frank Sinatra, e più tardi con Amy Whinehouse. Non è mancato l’impegno sociale, in particolare contro l’apartheid in Sudafrica. “I left my Heart in San Francisco” è stata un successo mondiale, come pure “The Way You Look Tonight” e “Body and Soul”.
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