Le condizioni fisiche gli impediscono di ottenere qualsiasi impiego disponibile, Emanuele vive in un centro commerciale da tre anni.
Cattive influenze, vizi e incontri casuali hanno il potere di assorbire quanto un individuo sia riuscito a costruire nel corso della sua vita. Emanuele Bornati vive in un centro commerciale di Bergamo, sopravvivendo grazie all’assistenza della clientela e del personale impiegato presso il Conad Superstore di via Carducci. Ha fatto il parquettista per anni, senza riuscire a risparmiare un solo centesimo. I rapporti sentimentali e i tentativi di convivenza si sono rivelati a posteriori fallimentari. Nessun tipo di legame umano ed una figlia che tuttavia ha preferito allontanarsi da lui diversi anni prima.
Nel 2020 è stato abbandonato per l’ennesima volta sul ciglio della strada, avrebbe potuto tornare a Milano, ma alla fine ha preferito rimanere nella periferia lombarda. Della famiglia neppure l’ombra, Emanuele combatte contro la solitudine da oltre tre anni, godendo della compagnia dei passanti e di tutte quelle anime buone che gli forniscono cibo, acqua e coperte.
Ha fatto amicizia con i proprietari di una lavanderia, ma non ha mai chiesto nulla al di fuori di una chiacchierata informale. Lava i panni con la candeggina, dopodiché indossa nuovamente i medesimi vestiti e torna sulla sua amata panchina a leggere la Gazzetta dello Sport, avvolto dal fumo della sua quarantesima sigaretta. Nonostante le condizioni di vita estreme, aggravate dall’attuale stato di salute di Emanuele, è impossibile percepire rabbia o angoscia nei suoi occhi.
Il 55enne lombardo convive tutt’oggi con gli strascichi di ben due ictus, responsabili di averlo quasi paralizzato. Il direttore del Conad Superstore ha tentato di offrirgli un’occupazione professionale, occasione che Emanuele non ha potuto cogliere a causa delle sue condizioni di salute. “Per come sono conciato adesso, non posso più fare niente” – ammette – “Nessuno potrebbe assumere un uomo con due ictus come me. Non riuscirei a fare più nulla, neanche il portinaio”. Così, dopo anni di lavoro (e qualche vizio), l’ex artigiano passa le sue giornate tra la panchina del supermercato, la lavanderia e la strada.
Alle nove di sera, quando il Superstore chiude, Emanuele si trova da solo, avvolto dal buio della notte. Si rannicchia per terra e cerca di recuperare le forze, esperienza che ha contemplato lo sviluppo di un’obbligata indifferenza rispetto alle condizioni metereologiche. “Quella notte del disastro, ho preso un po’ d’acqua di traverso, mi sono inzuppato, ma poi tutto passa” – pace mista a rassegnazione che tuttavia consentono ad Emanuele di sopravvivere, senza farsi sopraffare dalla frustrazione.
Tutto ciò che chiede è una semplice roulotte, un veicolo malmesso entro il quale trovare rifugio. Spera un giorno di incontrare Antonio Percassi, presidente dell’Atalanta, e di chiedergli in regalo un camper modesto ove vivere: “Con una piccola roulotte sarei proprio felice” – esordisce – “Anche malandata, poi ci penso io a ritingerla. La faccio nerazzurra” – i colori della sua squadra del cuore. E riguardo la possibilità di rivolgersi ad un dormitorio, si tratta di un’opzione che Emanuele non prende nemmeno in considerazione: “Ho imparato a dormire in strada trent’anni fa e, dopo un po’, ci si abitua”.
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