Il Giudice rifiuta l’accusa di molestia, ritiene invece che la donna sia vittima dei suoi stessi complessi. La popolazione è indignata.
Prima la “palpata breve”, ora la “vittima complessata” – queste le motivazioni che hanno costituito la base della sentenza del Giudice Maria Bonaventura, presidente della quinta sezione collegiale del Tribunale di Roma. Di solidarietà femminile non si percepisce neppure l’ombra, soprattutto rispetto alla scarsa considerazione riservata alle due vittime di abuso e violenza. Ricordiamo il caso della studentessa, vittima dello “scherzo” del bidello della sua scuola. L’uomo ha pensato bene di infilare le mani nella biancheria intima della giovane, per poi essere assolto dal Giudice Maria Bonaventura. Sembra infatti che la molestia non possa essere considerata tale se dura meno di 10 secondi, sentenza che ha prodotto una certa indignazione.
Ed ecco che le piattaforme social sono divenute in breve tempo strumento di manifestazione e polemica. Influencer, utenti web e simili hanno diffuso reel e video dove infieriscono sul proprio corpo per dieci secondi, permettendo al pubblico di realizzare quanto lunga possa essere una violenza che rispetti tali tempistiche. Le attiviste si sono scagliate contro la Giudice, ad oggi conosciuta come Giudice della palpata breve, esprimendo in tal modo la completa solidarietà nei confronti della giovane studentessa. Sembra tuttavia che Maria Bonaventura abbia costruito un chiaro concetto di “vittima”, pensiero applicato in occasione dei singoli casi esposti in Tribunale. Ha assolto l’ennesimo imputato, accusato dalla sua dipendente di abusi e molestie sul posto di lavoro.
“Non si può escludere che la parte lesa, probabilmente mossa dai complessi di natura psicologica, abbia rivisitato inconsciamente l’atteggiamento dell’imputato nei suoi confronti, fino al punto di ritenersi aggredita fisicamente” – questa la ragione che spiega, secondo la Giudice Maria Bonaventura, l’assoluzione del dirigente di un museo di Roma, responsabile di aver molestato una sua dipendente sul luogo di lavoro. La donna ha spiegato di aver subìto soprusi ed abusi dal 2021: palpeggiamenti, espressioni sessiste fuori luogo e battute a sfondo sessuale. Ha poi deciso di denunciare il direttore, in modo da poter porre fine ad una tale condizione di disagio. Peccato che si sia affidata alla coscienza della giudice sbagliata.
Maria Bonaventura ha fatto riferimento al peso della vittima, ritenendo che quest’ultima abbia interpretato erroneamente gli atteggiamenti “scherzosi” dell’imputato. Non hanno aiutato sicuramente le testimonianze delle altre dipendenti donne, le quali hanno sostenuto che il dirigente sia solito lasciarsi andare a forme di ironia pungenti e battute sarcastiche. Di fronte alle dichiarazioni di queste ultime, la Giudice ha dunque ritenuto che non ci fossero estremi concreti di denuncia. L’imputato è stato assolto senza alcun tipo di ripercussione.
“Purtroppo non c’è nulla di nuovo sotto il sole” – le parole della vicepresidente e referente delle avvocate di D.i.Re – Donne in Rete contro la violenza – “a questo punto ci forniscano un libretto di istruzioni che ci dica come essere considerate una vittima che va bene. Ogni volta guardiamo alla donna che denuncia e non all’uomo imputato di molestie o violenze” – ha infine concluso Elena Biagioni. Da sempre le autorità spingono le donne a denunciare, qualsiasi sia la gravità del sopruso. Un’ammissione che tuttavia necessita della collaborazione del Tribunale, senso di solidarietà che al momento non appartiene alla Giudice Maria Bonaventura.
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