Il giudice le ha riconosciuto il diritto di poter cambiare nome senza ricorrere alla chirurgia. È il primo caso in Italia
Ad emettere la storica sentenza è stato il Tribunale di Trapani, il quale ha riconosciuto il diritto di poter cambiare identità di genere anche senza la necessità di un intervento chirurgico.
Mai nella storia del nostro Paese era stata emessa una così storica sentenza, la quale potrebbe rappresentare un vero e proprio viatico per coloro che si trovano nella stessa situazione. La sentenza ha dunque dato ragione ad Emanuela, biologicamente uomo, ma che da 53 anni si percepisce donna al di là delle proprie caratteristiche fisiche. Ora ha finalmente vinto la sua battaglia. Dal 6 luglio 2023, infatti, il suo nome è questo e la legge è dalla sua parte.
Secondo il giudice del Tribunale di Trapani, Emanuela ha il diritto di cambiare la sua identità di genere e, quindi, il suo nome all’anagrafe anche senza la necessità di ricorrere ad un intervento chirurgico o ad una terapia ormonale che cambino le sue caratteristiche fisiche. Una sentenza che arriva dopo ben 20 anni di lotte legali, che ora potrà dire di essere il primo caso in Italia.
A favorire la decisione del giudice una precedente sentenza emessa nel 2015 dalla Corte di Cassazione. In quel caso, infatti, una persona transgender ha avuto ragione per il fatto di poter essere legittimata e riconosciuta come donna anche prima dell’operazione, però precedentemente pianificata. L’intervento chirurgico di cambio di sesso, dunque, in quel caso era sufficiente per poter permettere alla persona di cambiare identità e nome all’anagrafe del suo Comune di residenza. La sentenza del Tribunale di Trapani, invece, stabilisce che non serve avere in programma un intervento chirurgico o qualsiasi altro trattamento di modifica ormonale per poter raggiungere questo obiettivo.
Intervistata da La Repubblica, Emanuela ha affermato di sentirsi donna da sempre, ma di non aver intenzione di effettuare alcun intervento chirurgico. Dopo una lunga riflessione, infatti, ha deciso di non voler affrontare le conseguenze dell’operazione, a causa dell’invasività dell’intervento. Ma è consapevole di essere donna e qualsiasi modifica ormonale o fisiologica non rappresenta una necessità tale da rafforzare una convinzione già presente e per nulla scalfibile. Il suo avvocato, Marcello Mione, ha ribadito l’importanza della sentenza di Cassazione emessa nel 2015. Il principio che orientò la scelta dei giudici è lo stesso a cui si è appellato il difensore di Emanuela: nessun intervento chirurgico può incidere sulla richiesta della rettifica anagrafica di una persona.
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