Molte cose non tornano dopo la morte misteriosa di un avvocato. Alcuni uomini sono entrati nella sua casa durante il funerale
Una vicenda dai moltissimi lati oscuri quelli della morte di Andrea Dini, avvocato di 50 anni di Frosinone trovato senza vita sotto la finestra del suo studio.
Inizialmente si era pensato ad un suicidio, vista anche l’apparente dinamica, quasi scontata, che il corpo senza vita dell’uomo e il modo in cui è stato trovato “raccontavano”. Tuttavia, nei giorni a seguire sono emersi particolari inquietanti che hanno insospettito gli inquirenti e che hanno riaperto la strada a numerose ipotesi. Prima il fatto che il corpo dell’avvocato era stato ritrovato a cinque metri dalla finestra, poi i “ladri” in casa sua durante il funerale.
L’avvocato cinquantenne è stato trovato sotto la finestra del suo studio, che si trova al sesto piano di un palazzo nei pressi del vecchio stadio Matusa. In un primo momento l’ipotesi principale sembra essere stata quella di un suicidio; tuttavia, gli ultimi episodi hanno fatto sì che la Procura chiedesse l’esame della salma, con l’ipotesi di istigazione al suicidio. Tra gli elementi che più di tutti hanno convinto gli inquirenti a fare un passo indietro rispetto all’ipotesi del suicidio è il modo in cui è stato trovato il corpo. La vittima, infatti, era posizionata a cinque metri dal palazzo del suo studio, e non all’altezza della finestra.
Inoltre, l’avvocato era svestito, un aspetto che non ha convinto molto gli inquirenti. Ma ad alimentare ulteriormente il sospetto da parte degli investigatori è il fatto che, durante il funerale dell’uomo, alcune persone si sono intrufolate nella sua abitazione in via Tiburtina. Dopo una prima valutazione, si era fatta strada l’ipotesi di un gruppo di ladri che avevano approfittato dell’assenza in casa. Tuttavia, questi non hanno portato via nulla: elemento che non torna e che ha allertato le Forze dell’Ordine. Lo stesso giorno della sua morte, l’uomo era uscito di casa dicendo a sua moglie che doveva vedersi con Dario, un suo amico. Tuttavia questo non è mai avvenuto e, secondo quanto si apprende, l’avvocato si è diretto verso il suo studio.
È qui che gli inquirenti hanno deciso di concentrare le proprie indagini. Nello studio del cinquantenne, infatti, i Carabinieri hanno trovato gli indumenti dell’uomo e alcuni documenti di lavoro, come ad esempio alcuni assegni erogati dalle compagnie di assicurazione.
La procura ha quindi deciso di mettere sotto sequestro sia lo smartphone che il computer dell’avvocato, incaricando l’ingegnere Stefano Solli di ricavarne la copia forense dei dispositivi. Gli investigatori hanno intanto interrogato alcune persone, soprattutto colleghi e collaboratori.
Fin da subito nessuno ha creduto davvero all’ipotesi del suicidio. Non solo per gli elementi precedentemente elencati – la distanza del corpo dalla finestra, i vestiti mancanti, la falsa dichiarazione alla moglie e l’intrusione in casa – ma soprattutto perché l’uomo non aveva dato segnali di quel tipo. Secondo i suoi collaboratori, infatti, nell’ultimo periodo l’avvocato aveva effettuato alcune videochiamate e numerose telefonate, apparendo stressato, ma a nessuno aveva dato l’impressione di poter arrivare a tanto.
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