“Resilienza” è diventato un termine usatissimo e abusato da gran parte delle persone, ma cosa significa davvero?
Le parole ci permettono di comunicare, di interagire col mondo e con gli altri, di esprimerci, di capire meglio e anche di “capirci meglio”: sono insomma il ponte tra quella che è la nostra essenza ed il mondo esteriore, il meraviglioso colore che abbiamo scelto per dare un senso all’esistenza.
Non è un caso che, dall’alba dei secoli, esista la poesia e alla parola venga attribuito un significato che va oltre la mera pragmatica corrispondenza con un “qualcosa”; per questo, dunque, oltre ad essere molto prezioso, il linguaggio può essere anche piuttosto pericoloso ed è bene utilizzarlo nel migliore dei modi.
Negli ultimi tempi, si è diffuso nell’uso comune un termine splendido, ma che forse è diventato “abusato” e sminuito nel suo significato: resilienza. Cosa vuol dire davvero “resilienza”? Alle origini di una parola che, come le altre, andrebbe applicata quando serve e che soprattutto si dovrebbe far nostra, riempendola di emozioni ed azioni concrete.
Derivato del verbo latino resilire, ovvero “zampillare, ritirarsi, restringere, contrarsi”, il termine resilienza richiama alla capacità di qualcosa di adattarsi alle circostanze, di essere malleabili ma allo stesso tempo resistenti.
Per questo, al giorno d’oggi, con il termine “resiliente” si indica una persona che, nonostante le difficoltà, riesce comunque ad andare avanti.
Un materiale resiliente è un materiale che, con la prova dell’urto, non si rompe; nel lessico tessile, si utilizza invece per indicare la capacità di filati e tessuti di riprendere la forma originaria dopo una deformazione. Per derivazione, è utilizzato anche in psicologia e si dice di una persona che riesce a reagire di fronte a traumi e difficoltà, o comunque situazioni di comprovato ostacolo.
A prescindere dallo specifico utilizzo, il termine resilienza indica quindi la capacità di riuscire a reagire in modo positivo alle mutevolezze della vita che, in molti casi, sono negative. Il termine andrebbe dunque usato con quest’accezione e, magari, invece di abusarne, riflettere davvero sul grande messaggio filosofico che c’è dietro: siamo davvero resilienti nella vita di tutti i giorni? Riusciamo, nonostante le difficoltà, a rimanere “umani” e a diventare, subito dopo, delle persone migliori?
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