La debolezza militare dell’Ucraina è diventata evidente, malgrado l’assillante propaganda che l’ha sostenuta.
Il generale Marco Bertolini lo riconosce in un’intervista rilasciata a Fanpage.it, senza naturalmente chiamare in causa il sostegno massmediatico che europei e statunitensi hanno dato al presidente ucraino Zelenskyj. Quest’ultimo è un dato politico, segnalato da altri commentatori, che considerano l’operazione propagandistica come l’arma più potente, tra le tante messe a disposizione dall’Occidente.
La voce isolata del generale Bertolini rileva lucidamente che Kiev, non potendo superare le difese russe, ha fatto il possibile per alzare il livello dello scontro, dalla tattica alla strategia. L’aggressività dimostrata nelle ultime settimane dall’Ucraina verso il fronte meridionale, la Crimea innanzitutto, ha questo significato. Sono stati portati attacchi con il solo metodo in grado di sfuggire all’organizzazione difensiva russa, verso la penisola ucraina di diritto ma russa di fatto.
Un metodo “terroristico”, che sfrutta i punti deboli. Sono state compiute azioni isolate, imprevedibili, mirate a punti specifici e comunque efficaci. L’assalto con droni marini di superficie al ponte di Crimea del 17 luglio, la distruzione di un deposito di munizioni russo in Crimea sono al centro dell’attenzione. Fino ad arrivare alla dichiarazione di Zelenskyj del 27 luglio, che annuncia di poter reintegrare velocemente la penisola nel sistema statale di Kiev.
La Russia potrebbe reagire in modo energico, suscitando, come spera Zelensky, la contro-reazione dell’Occidente. La Russia da tempo è presente militarmente e politicamente nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e in Africa. Quindi ha bisogno dell’isola di Crimea – penisola grazie ai due ponti entrambi sotto attacco – e del pieno accesso al Mar Nero, per poi raggiungere il Mediterraneo attraverso il Bosforo, costeggiando la Turchia.
L’aiuto della Turchia torna quanto mai utile, alla strategia di Kiev e dell’Occidente, tanto più dopo la liberazione dei capi del Reggimento Azov da parte del presidente di Ankara Erdogan. Il 9 luglio gli Azov sono tornati in patria, desiderosi di tornare a mostrare in battaglia, nei loro scudetti, i loro famosi simboli già usati dai nazisti, come il Wolfsangel, che indica la caccia ai lupi nella steppa.
Volodymyr Zelenskyj sperava, come nota il generale Bertolini, di presentarsi al vertice Nato di Vilnius con una controffensiva già vincente, per poi ottenere nuovo sostegno militare. Non è andata così, per nulla, anche se l’Ucraina vanta d’aver ripreso 192 chilometri quadrati. Le perdite, in vite umane, sono state eccessive. Per Kiev, la sconfitta politica è stata chiara, osserva il generale italiano.
Inoltre, l’Ucraina ha visto andare distrutti non pochi carri armati Leopard e altre armi, fornite dall’Occidente. L’aspetto peggiore della guerra in corso è l’impossibilità politica della pace. Attualmente nessuno dei belligeranti riesce né a vincere né a perdere pienamente, sia militarmente che strategicamente che politicamente.
La sconfitta sarebbe troppo pesante per tutti gli Stati coinvolti. Nello stesso tempo, nessuno vuole la pace. Infatti il generale constata molti interventi di tipo diverso, che fanno sì che il conflitto incroci piani differenti. Come le forniture di grano all’Africa o il pericolo di una Russia che, sconfitta, precipiti nel caos. O la catastrofe dell’Ucraina, la cui ricostruzione gli Stati Uniti preferiscono lasciare agli europei. In ultima analisi il generale non vede altra soluzione che il congelamento del confitto. Che tende all’infinito.
Una conclusione con un trattato di pace, che stabilisca confini accettati da tutti, appare impossibile. L’Ucraina diventerebbe simile a un Israele ai confini dell’Europa.
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