La propaganda bellicista condanna la diserzione come atto di vigliaccheria e tradimento, ma il significato va molto oltre.
Sono alcune decine di migliaia i giovani sfuggiti alla leva forzata, tra Russia e Ucraina. Non sono pochi coloro che non hanno accettato per nulla la propaganda sulla necessità della guerra in Ucraina, anzi hanno ritenuto profondamente sbagliato imbracciare le armi. E sono scappati, convinti che dal conflitto armato non verrà nulla di buono. Tant’è vero che prima di Ferragosto l’esercito di Mosca ha bombardato Odessa. Le vittime aumentano e la pace è ancora lontana. A volte la scelta di fuggire è ponderata da tempo, altre volte è una necessità urgente. Infatti il reclutamento, specialmente in Russia, avviene in modo violento.
Prendono il nome sprezzante di mobik i giovani letteralmente fermati per strada e sequestrati dalle autorità militari. L’era di Putin ha continuato ad applicare questo metodo ereditato dall’Unione sovietica. I capi militari decidono di arruolare un certo numero di nuove reclute e la burocrazia li accontenta. Pur sapendo che buona parte dei forzati alla leva è destinata a una tragica fine. Intanto la campagna di reclutamento figura come un successo.
Per evitare di diventare carne da cannone, due uomini russi già nell’ottobre 2022 sono fuggiti in barca da Egvenikot al villaggio di Gambell, in Alaska, rischiando di affondare sotto le alte onde gelide del mare di Bering. Approdati e trasferiti nella città di Anchorage, hanno chiesto asilo agli Stati Uniti. Era il tempo della mobilitazione parziale imposta dal presidente Vladimir Putin.
Sia la Russia che l’Ucraina chiamano alle armi e negano ai cittadini il diritto a una scelta di pace. Un esperto informatico russo, noto per un’intervista rilasciata alla BBC sotto falso nome, è stato fra i primi a fuggire nella foresta, senza varcare i confini, per non diventare un mobik. Aveva esposto il cartello “No alla guerra” sul muro del suo condominio. L’Ucraina a propria volta ha usato tutti i metodi possibili per incrementare le forze armate. Dal giorno dell’invasione russa, il 24 febbraio ’22, è stato vietato l’espatrio a tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni.
Il quotidiano il manifesto, che ha dedicato un ampio servizio ai “renitenti bipartisan”, sottolinea che la stampa italiana ha dedicato poco spazio al fenomeno. Un ucraino, che vive ormai in Italia, riferisce che vanno al fronte, per lo più, i suoi connazionali che non hanno i contatti giusti per sfuggire alla leva e nemmeno soldi per espatriare.
Ci sono ucraini, come lui, che lasciano il Paese con l’aiuto dei contrabbandieri, ai quali è da tempo noto il modo di sfuggire alle autorità nelle zone di confine con la Moldavia. Un servizio che costa ben 2.500 dollari. Altra frontiera ambita e frequentata è quella tra la Russia e la Georgia, dov’è stata vista una coda di ben dieci chilometri di esuli. A Tbilisi è attiva, oltretutto, l’organizzazione “Go by the forest”, che aiuta i militari russi a salvare la pelle fuggendo attraverso i boschi più fitti.
Sempre a Tbilisi ci sono una quindicina di ragazzi che vivono nascosti in un seminterrato. Sono dissidenti, pacifisti, persone che hanno maturato un pensiero e una scelta di vita che non prevede di sparare tra popoli affratellati per secoli. E’ stato reso noto inoltre il caso dell’uomo di Kharkiv, che vive nascosto nel proprio appartamento senza uscire mai, nemmeno per fare la spesa. Un modo per evitare sia il reclutamento forzato che l’espatrio.
Non sono pochi neppure i soldati che scappano dal fronte per sopravvivere. Si tratta di uomini che non sono stati addestrati per tempo e non possiedono le cognizioni e le qualità psicofisiche per usare armi. Il caso del secondo e terzo battaglione della settantanovesima brigata di Kiev è stato eclatante. I soldati hanno chiesto aiuto al popolo ucraino con un post su Facebook: vedendosi abbandonati nell’estremo pericolo e dichiarando di essere mandati al macello, hanno denunciato gli ufficiali che se ne andavano liberamente.
Esiste anche un pacifismo impegnato al femminile, che non si sovrappone alla diserzione e che comunque viene pagato a caro prezzo. Meritano di essere ricordati almeno due casi esemplari. Grande scalpore ha fatto innanzitutto la giornalista Marina Ovsiannikova, che il 14 marzo del 2022 era apparsa alla tv russa con il famoso cartello “NO WAR”. E’ poi fuggita rocambolescamente dal suo Paese grazie all’aiuto dell’Ong Reporters sans frontières. Ha poi raccontato tutto in una conferenza stampa a Parigi il 10 febbraio di quest’anno.
Altra vicissitudine resa nota dalla stampa italiana è quella della dissidente russa Daria Kryukova, di 32 anni, che in patria dopo l’inizio del conflitto rischiava il carcere, per aver manifestato in un blog le sue esplicite critiche a Vladimir Putin. E’ fuggita in Italia, dove ha segnalato che la burocrazia del suo Paese stava bloccando il suo iter universitario, dato che voleva ottenere una seconda laurea, dopo averne conseguita una in patria, in Sociologia.
In Italia, infine, i sondaggi segnalano da tempo una maggioranza, o quasi, di cittadini contrari alla guerra e al continuo invio di armi all’Ucraina. Le manifestazioni pacifiste sono partecipate, tuttavia rimangono senza voce politica.
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