Negli Stati Uniti le istituzioni rischiano di attraversare una crisi ancora più grave, se il rivale di Donald Trump sarà veramente Joe Biden.
Un uomo politico è in grado di dimostrare la verità di quanto afferma oppure può essere sempre e comunque contraddetto in modo verosimile? E i massmedia possono accertare in modo indipendente la verità dei fatti, senza violare la libertà di espressione della parte politica avversaria? Risolvere questi dubbi è quanto mai urgente, trattandosi della credibilità della massima carica degli Stati Uniti, alla vigilia delle elezioni e durante una guerra alle porte dell’Europa. Oggi però una soluzione accettabile per tutti non esiste. Il dibattito politico americano sembra impossibilitato a esprimere credibilità.
L’Italia, profeticamente, ha già conosciuto questo problema con enorme anticipo, quando Silvio Berlusconi screditava ogni autorità terza e indipendente e ogni organizzazione internazionale che si presentasse super partes. Gli elettori del nostro Paese hanno dovuto accettare l’idea di una verità a due facce, l’una delle quali incompatibile con l’altra. Esistono insomma soltanto amici e nemici in conflitto, senza possibilità di appello a un’istanza terza. Di Pietro ha posto più volte una questione di principio quanto mai seria: non si può mediare tra il vero e il falso, nemmeno quando è solo una parte a dichiarare il vero, mentre l’altra parte la contraddice. Occorre qualcuno super partes che protegga la verità dimostrata. Ma chi è?
Il partito repubblicano americano è dominato da Donald Trump, rinviato a giudizio in quattro processi per motivi diversi. Il più grave è il tentativo di invalidare il successo elettorale di Joe Biden manipolando i dati, oltre al ruolo svolto nell’assalto a Capitol Hill. La prospettiva di Trump, in testa ai sondaggi fra i repubblicani, è di essere condotto più volte in tribunale durante una campagna elettorale, nella quale intende demolire l’operato di Joe Biden.
Gli elettori hanno diritto di scegliere: non possono farlo serenamente, se Trump è continuamente sotto accusa, salvo poi risultare eventualmente innocente. L’opportunità migliore, dal punto di vista del tycoon, viene offerta dal rinvio a giudizio di Hunter Biden, il figlio di Joe accusato di aver condotto affari quanto meno opachi in Ucraina e in Cina, quando il padre era vice di Barack Obama. E così il partito repubblicano, incalzato dal suo dominatore, sta valutando se e come proporre l’impeachment del presidente in carica, sospettato di aver agevolato il figlio, volontariamente o no.
Che siano veritiere queste ipotesi d’accusa, sembra non importare molto. Non risulta, da quanto si sa, una prova evidente e schiacciante a carico dell’inquilino della Casa Bianca, in grado di convincere anche parte dei democratici. E il dubbio è molto più vantaggioso, per Donald Trump, perché terrebbe aperto il dibattito sulla figura del suo rivale. A quanto pare, non esiste la possibilità di ottenere realmente l’impeachment di Biden, dal momento che occorrono a questo scopo due terzi dei voti del Senato, che ha una maggioranza democratica.
Al Congresso prevale la maggioranza repubblicana, e occorre iniziare proprio nella Camera bassa la battaglia per la distruzione dell’immagine del presidente. Il gruppo dei deputati repubblicani ha fissato per giovedì 28 settembre la prima riunione dedicata all’impeachment. Lo ha fatto sapere la rete tv Fox. Inoltre, questa settimana la commissione di Sorveglianza (Oversight Committee) potrebbe richiedere i documenti bancari di Hunter e James Biden, figlio e fratello del presidente.
Così giovedì 28 lo speaker repubblicano del Congresso Kevin McCarthy potrà già proporre di formulare l’accusa. I presidenti delle commissioni Giustizia e Sorveglianza, Jim Jordan e James Comer, lo potranno sostenere, dato che sono convinti che ci sarebbero testimoni decisivi. Il dato di fatto però è che le testimonianze finora hanno affermato di non aver elementi per dichiarare che Joe Biden favorì o trasse vantaggio dall’operato del figlio.
L’impeachment ha tutta l’aria di trasformarsi in un vicolo cieco. L’estrema destra dei repubblicani oltretutto non si fida più di McCarthy, perché ha accettato e fatto votare, nella primavera di quest’anno, un accordo con la Casa Bianca che aumenta il tetto di spesa per due anni. Con quella manovra, gli Stati Uniti hanno evitato il default, impegnandosi in alcuni tagli alla spesa. E’ un problema che si ripete ogni anno: la spesa pubblica necessaria per pagare gli stipendi ai dipendenti pubblici non basta e quindi occorre un impegno economico ulteriore per far funzionare gli uffici.
I repubblicani estremisti lo ritengono un favore a Biden, quindi sarebbero felici di destituire McCarthy dal ruolo di speaker del Congresso, o almeno di fargli cambiare idea. Dovrebbe a questo scopo bloccare quelle leggi, gli appropriation bill, indispensabili a dotare i ministeri dei fondi di cui hanno bisogno.
Su quest’obiettivo però il partito repubblicano non è per niente compatto: alcuni sono favorevoli alle variazioni di bilancio, per chiamarle così, che servono alla pubblica amministrazione per funzionare anche a fine anno, evitando i clamorosi scioperi e disservizi del passato. Un altro fronte quanto mai impegnativo per Joe Biden è l’erogazione di fondi a favore dell’Ucraina, per pagare enormi spese militari. Anche su questo i repubblicani sono divisi.
Il fatto più originale e inatteso, però, è la lettera che la Casa Bianca ha rivolto ai principali massmedia, perché si rendano conto da soli, mediante un giudizio indipendente o fact-checking, che non esistono dati di fatto in grado di avvallare l’impeachment. Infatti gli investigatori che hanno rinviato a giudizio Hunter Biden non hanno messo sotto accusa il padre. Ma saranno credibili giornali e network pur dando ragione alla Casa Bianca, mentre Trump farà fuoco e fiamme?
Alcuni repubblicani comunque non vogliono l’impeachment, sospettando che McCarthy voglia sollevare un polverone, per far approvare senza troppi problemi le leggi sui finanziamenti ai ministeri. Ciononostante, il percorso di Joe Biden è molto accidentato. L’età lo penalizza vistosamente, le gaffe e la sua mancanza di lucidità negli eventi pubblici sono clamorosamente palesi. Un editoriale del Washington Post, che pure lo ha spalleggiato e riconosce diversi suoi successi, in questi giorni ha invitato Joe Biden a farsi da parte: l’età non perdona. Non si ricandidi dunque, e lasci che dalla competizione delle primarie emerga un nuovo candidato democratico, in grado di garantire quattro anni di massimo impegno, con la presenza di spirito necessaria a un presidente.
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