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Come hanno trascorso i loro ultimi minuti le 5 persone a bordo del Titan

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E’ stata la morte più rapida e forse più folle di sempre, a 3.800 metri sotto la superficie del mare. Una tragedia senza precedenti

Le indagini appena iniziate sono “territorio inesplorato”, come ha affermato un ex investigatore del National Transportation Safety Board. Mai nessuno prima delle cinque vittime del Titan ha perso la vita in un modo simile. Molte quindi sono le domande su un evento sconcertante, al di là delle mille curiosità di un’avventura nata per esser consegnata festosamente ai trionfi leggiadri della moda.

Da sinistra Hamish Harding, Suleman Dawood e suo padre Shahzada, Stockton Rush e Paul-Henri Nargeolet – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Il batiscafo, partito da St. John’s (Terranova) il 18 giugno, era privo della possibilità di muoversi autonomamente. Era guidato a distanza e le persone a bordo erano impossibilitate a uscire all’esterno. Se il Titan fosse riemerso, cosa praticamente impossibile, i viaggiatori sarebbero comunque rimasti chiusi dentro, fino all’apertura dall’esterno. A quella profondità nessuno sarebbe potuto immergersi per estrarli, in alcun modo. Soltanto un robot gigante ci sarebbe riuscito.

Mai nessuno aveva perso la vita così

Probabilmente, com’è stato detto, c’è stato un difetto nella fase di sperimentazione. Può darsi che si sia verificata una frattura strutturale, un disastro che poteva essere scongiurato dal collaudo. Ammesso che la causa della catastrofe sia stata questa. Certo la società Ocean Gate Exploration, proprietaria del sommergibile, chiedeva 250mila dollari per quel viaggio sul fondo dell’Atlantico. E chiedeva anche di firmare un contratto di consenso informato, dichiarando esplicitamente che c’era il rischio di morire. Ora la stessa società ha sospeso, inevitabilmente, le esplorazioni e l’attività commerciale. 

La guardia costiera nelle operazioni di ricerca – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Tra i cinque viaggiatori c’era un miliardario britannico di 58 anni, Hamish Harding. Un amante dell’avventura, il capo della Action Aviation, società con sede negli Emirati Arabi. Era stato fra i primi a scendere nel punto più profondo della Fossa delle Marianne con il Challenger Deep. Luoghi nei quali un tempo arrivavano soltanto personaggi da romanzo.

Il fascino fatale dei resti del Titanic

Il secondo era  Paul-Henri Nargeolet, 76 anni, per 25 nella marina francese. Nel 1987 c’era lui alla guida del Nautilus, sottomarino che nel 1987 confermò che il Titanic era proprio in quel punto. Così cominciarono le immersioni, 34 in tutto, allo scopo di recuperare oggetti prelevati dal famoso relitto. Il terzo era Stockton Rush, un ingegnere aerospaziale che, non potendo viaggiare nello spazio per problemi agli occhi, puntò tutto sul Titanic e il turismo di profondità. Fondò infatti la Ocean Gate Expedition, proponendo di diventare “uno dei pochi a vedere con i tuoi occhi il Titanic”.

Alla ricerca del Titan nel profondo del Pacifico – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Gli ultimi due sono l’uomo d’affari pakistano Shahzada Dawood, uno dei più ricchi del suo Paese, con un ragazzo di 19 anni, suo figlio Suleman. La tragica dine di Suleman ha commosso di più chi ha seguito la terribile vicissitudine, perché nemmeno voleva partecipare. Ha accettato, salendo a bordo col suo cubo di Rubick, solo per accondiscendenza verso il padre. Ha dato l’ultimo saluto a sua madre nel giorno della festa del papà. Il quale era un amministratore del Setil Institute, un’organizzazione di ricerca con sede in California.

Quel ragazzo che a bordo non voleva salire

Dopo un’ora e tre quarti, il Titan aveva già perso i contatti con la nave incaricata di monitorare l’immersione. E scendeva a fari spenti, per risparmiare energia. In tutto, i viaggiatori avevano a disposizione 96 ore di ossigeno. Dovevano bastare abbondantemente. Invece il rov della Horizon Arctic, ovvero un remotely operated vechicle, guidato da remoto, ha trovato i detriti della spedizione a 200 metri dal Titanic.

Una conferenza stampa della guardia costiera Usa – lintellettualedissidente.it Ansafoto

Ci sono andati vicino e sono implosi. Un’implosione, al contrario dell’esplosione, avviene quando la pressione esterna supera quella interna. C’erano 400 chilogrammi di pressione esterna per ogni centimetro quadrato della superficie esterna del Titan. Il quale si è accartocciato in un infinitesimo di secondo, senza che nessuno potesse accorgersi di quel che stava succedendo. Una morte inavvertita, meno che istantanea, indolore.

Pressione di 400 kg per centimetro quadrato

Una voce registrata, all’inizio del viaggio, invitava a scaricare ascoltare la musica preferita attraverso le cuffie bluetooth. Ma non il genere country. Quello non piaceva al capo missione Stockton Rush. Non c’erano posti a sedere. I turisti del Titanic quindi sono rimasti in piedi o seduti sul pavimento del monolocale. Non c’era un bagno separato, solo un piccolo dispositivo per le urgenze.

La fibra di carbonio recuperata accanto alla grande affondata il 15 aprile 1912 potrebbe aiutare a comprendere l’accaduto. Una fine macabra, che gli esperti intervistati dal New York Times hanno paragonato, per usare delle metafore, a una lattina di Coca Cola schiacciata da un colpo di mazza. Oppure a un elefante in piedi su un piede solo schiacciato da 100 elefanti piombati sopra di lui. Il Titan pesava solo 9 tonnellate. Un guscio di noce sotto un macigno.

Una morte macabra su uno sfondo di sogno, davanti a una finestra enorme che dava sul blu profondo del Pacifico. Di fronte a loro, flora e fauna sempre più fluorescente. La speranza di essere salvati all’ultimo da un miracolo della tecnologia forse non è mai mancata. Forse sono stati deliziati dallo spettacolo. Forse hanno pensato a quell’ultimo volo in aereo, che hanno preso all’ultimo momento per andare a imbarcarsi. Se l’avessero perso… Certamente si sono accorti che il tempo trascorso nel Pacifico era molto superiore al previsto, che il sogno aveva un limite ben preciso e che l’ultima speranza si stava spegnendo completamente.

 

 

 

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