Agli appelli disperati di Kiev la Nato ha risposto con un mare di armi micidiali in dono. Inviate subito, senza controlli e in pura buona fede
Dove circolano in abbondanza merci di valore e denaro contante, le mafie italiane sono in agguato. Ovunque nel mondo possono infiltrarsi, grazie alla dimensione internazionale che si sono date da tempo. L’Ucraina in particolare dimostra tassi di corruttibilità rilevanti. Lo si può comprendere, in una situazione così drammatica. Gli aiuti militari regalati dalla Nato, con gli Stati Uniti in primo piano, fanno gola. Anche perché i controlli sono scarsi.
Kiev ha sempre negato agli alleati i report sull’uso delle armi ricevute. Il Pentagono e i servizi segreti americani ricevono soltanto elenchi di obiettivi strategici e nulla più. L’Ucraina è avara di informazioni, pur ricevendo dal principale alleato indicazioni particolareggiate sulle posizioni dell’esercito russo, con tanto di coordinate geografiche.
Come vada la guerra, sarebbe dall’inizio un segreto, se la fonte delle informazioni fosse solo Kiev. Il Paese aggredito fa sapere soltanto che ha bisogno di armi, senza rispondere alle domande. Nemmeno a quelle del Pentagono. L’Ucraina ha deciso di non far trapelare nulla che possa indebolirne l’immagine. Già nel marzo dell’anno scorso Analisi Difesa per prima avvertiva che tutte quelle armi, in qualche misura, arrivavano nelle mani sbagliate, ai combattenti dell’Isis, e in parte anche alle mafie della Penisola.
Darle ai russi, per clamoroso paradosso, sarebbe stato meno pericoloso. La guerra ha cambiato le regole. Se nel 2014 il ministro Arturo Parisi dichiarava che inviando armi ai nemici dell’Isis l’Italia era belligerante, nel caso di Kiev no. Si pretende di non essersi per nulla contaminati dell’orrore della guerra. Contemporaneamente però l’Italia ubbidisce ciecamente e scrupolosamente agli ordini della Casa Bianca, sicché per la prima volta nella sua storia viene inserita dalla Russia nell’elenco dei Paesi ostili.
E patisce gravi conseguenze economiche non ricevendo più gas da Mosca con contratti trentennali, eppure accetta passivamente il proprio ruolo e lo svolge con devoto zelo. I danni causati dalle sanzioni economiche colpiscono non gli Stati Uniti, ma soltanto l’Europa Italia compresa, che con la Russia aveva sempre tenuto aperto il dialogo.
Lo stesso procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri ha avvisato che le mafie italiane fanno rifornimento di armi grazie alla guerra d’Ucraina, eppure di controlli e verifiche non si parla proprio mai. Dopo la prima segnalazione del grave problema, sono partite le inchieste del Washington Post e del New York Times. E sono arrivati rapporti delle polizie del vecchio continente, dei servizi segreti americani e dell’Interpol.
Le armi destinate all’Ucraina sono state trovate in Africa e in Medio Oriente. Con il pretesto di aiutare Kiev al più presto, senza burocrazia senza controlli e senza neanche informazioni in cambio, organizzazioni terroristiche e criminali di tutto il mondo hanno ricevuto le forniture più pericolose in assoluto.
I massmedia italiani nello stesso tempo straripavano di propaganda a senso unico, a tal punto che si è detto che lo stesso tipo di aiuto era stato concesso dagli Stati Uniti ai partigiani tricolori. Il pericolo mafioso è stato tenuto completamente sotto silenzio. Tra i danni patiti dall’Italia a causa delle forniture mandate alla cieca a Kiev c’è anche la negazione di un ruolo diplomatico che sarebbe stato possibile svolgere per un cessate il fuoco, in vista di una trattativa per la pace.
Nessun Paese europeo avrà quindi la credibilità per farsi mediatore. La Turchia, già bollata come dittatura dall’ex premier Mario Draghi, può far valere la propria diplomazia, che peraltro è, o era, una caratteristica prettamente italica. Nicola Gratteri ha detto anche qualcosa di più, nel suo intervento dell’11 agosto al Lido di Camaiore (Lucca), dove ha presentato il suo ultimo libro “Fuori dai confini. La ‘ndrangheta nel mondo” scritto assieme a uno storico, Antonio Nicaso.
Le mafie ucraine hanno approfittato della guerra per andarsene dal loro Paese e sistemarsi in Occidente. I mafiosi non vanno in guerra: preferiscono fare i loro affari altrove. Il procuratore di Catanzaro ha posto una domanda ben precisa, sul motivo per cui non è stato attivato un sistema di tracciamento di quelle armi. L’effetto di una scelta simile, di mandare armi in dono a Kiev, è che sul mercato si trovano per 30mila euro armi dieci volte più potenti di un bazooka. Strumenti di morte che in guerra fanno meno danni che in mano alla criminalità organizzata.
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