Contesa aperta tra Stati Uniti e Cina, entrambe impegnate a modificare l’ordine geopolitico globale, per controllarlo
Uno dei leit-motiv di Joe Biden (no al decoupling, no al disaccoppiamento delle due superpotenze) riguarda i rapporti con la Cina, in forte ascesa sui mercati internazionali nell’hitech, il settore che ha proiettato nel futuro l’impero americano. E che ora preoccupa molto la Casa Bianca. Il presidente Joe Biden ha firmato per questo un ordine esecutivo che avrà serie conseguenze. Infatti ora il segretario al Tesoro potrà limitare o addirittura vietare gli investimenti statunitensi nell’hitech cinese.
E’ una delle croci più spinose per l’orgoglio a stelle e strisce, dato che la Russia, anche grazie all’intermediazione cinese, si è armata contro l’Ucraina. Grandi industrie americane investono nell’hitech del Dragone che fa concorrenza al loro stesso Paese. Industrie che legittimamente vendono a Mosca la componentistica che, una volta inserita nei sistemi missilistici, li fa funzionare contro l’Ucraina.
La Casa Bianca garantisce ogni volta che Stati Uniti e Cina non devono farsi la guerra, mirando a una competizione sana. Biden l’ha ribadito: occorre tenere una condotta razionale. Un’altra metafora impegnativa chiama in causa le persone cattive che quando hanno gravi problemi fanno cose cattive.
Insomma Biden ha preso, l’ha dichiarato lui, con l’ordine esecutivo un provvedimento che va considerato emergenziale, utile nella congiuntura della guerra d’Ucraina e nulla più. Provvedimento che però ha suscitato reazioni rapide, anzi immediate, sia da Pechino che dal cuore dell’America, ovvero dalle industrie quanto mai deluse dalla decisione. Biden sa bene che nella politica estera occorre tenere una linea coerente nel tempo, destinata a durare, pur nel variare degli orientamenti dei presidenti.
Poi, malgrado tutte le polemiche contro la linea nazionalista di Donald Trump, Biden s’è guardato dall’abrogare alcune sue decisioni. Diventa opportuno far presente che le tariffe commerciali (dazi) volute dal tycoon sulle importazioni dalla Cina sono rimaste invariate, per quanto siano alte. Ogni anno arrivano dal Dragone negli Stati Uniti beni da 370 miliardi di dollari.
In questi ultimi anni gli investimenti del venture capital del dollaro sull’hitech cinese sono precipitati dai 32,9 miliardi del 2021 ai 9,7 dell’anno scorso al miliardo e 200 milioni di quest’anno. Effetto della guerra d’Ucraina, ma non solo, dato che la Casa Bianca non ha nemmeno provato a coinvolgere la Cina in un tentativo diplomatico di raggiungere il cessate il fuoco per aprire una trattativa di pace con la Russia.
Sembra che il decoupling, allora, sia già stato avviato. Dopo Ferragosto, un’altra novità ha messo in allerta la Cina. Il presidente degli Stati Uniti ha incontrato a Camp David il premier giapponese Fumio Kishida e il presidente sudcoreano Yoon Suk Yeol per inaugurare una nuova fase. L’obiettivo è una stretta cooperazione di sicurezza a tre vie. E Camp David era già un località fortemente simbolica per il Medio Oriente.
Biden ha dichiarato la propria ammirazione per i due leader asiatici e il loro coraggio politico, capace di porre fine alla storica rivalità tra i due Paesi. Il Giappone occupò la Corea del Sud tra il 1910 e il 1945, tutt’altro che un episodio. L’attuale presidente di Seul, un conservatore, si è comunque battuto per superare una severa diatriba interna sul lavoro forzato durante l’occupazione. Ha poi ritenuto opportuno compiere il grande passo.
Gli accordi presi dal presidente americano con i nuovi partner sono stringenti, in modo da impedirne una facile revoca. I tre hanno inoltre concordato di usare una linea diretta per facilitare il superamento delle crisi. Gli States hanno così due nuovi alleati, che insieme ospitano 84.500 soldati americani. Ed entrambi condividono la preoccupazione per le esercitazioni militari cinesi nel mare al largo di Taiwan.
Alla Cina questi cambiamenti in corso piacciono poco, sentendo oltretutto parlare di una Nato asiatica, dopo le gravi complicazioni connesse alla continua espansione dell’alleanza atlantica nell’Europa orientale. Tanto più che i tre leader a Camp David hanno criticato il comportamento pericoloso e aggressivo di Pechino nel mar Cinese orientale e meridionale, al quale si oppongono. Oltretutto, il vicepresidente di Taiwan William Lai è stato ospitato negli Stati Uniti, per poi recarsi in Paraguay dal nuovo presidente. Uno sgarbo al Dragone, che considera Taiwan una provincia, non uno Stato indipendente.
E infatti la Repubblica popolare ha reagito subito con il nuovo alfiere, il ministro degli Esteri Wang Yi, che ha chiesto a Tokyo e Seul di concordare con la Cina la rivitalizzazione dell’Asia orientale. Ma rivitalizzazione significa presa di distanza dagli Stati Uniti. Il nuovo ministro ritiene che un orientale non potrà mai diventare un occidentale. Dura affermazione di principio: ricordiamo che non ci sono diritti umani comuni tra Occidente e Oriente.
Spesso si parla di umanità come se esistesse qualcosa di positivo, sul piano etico, politico, giudirico, che lega profondamente tutti gli uomini. Eppure non è così. Wang Yi sta marcando le differenze e parla di radici, esattamente come gli Stati Uniti parlano di valori democratici e liberali. Pechino ha fatto pressione su Giappone e Corea del Sud, senza però ottenere il loro consenso. D’altra parte crescono le tensioni anche rispetto alla Corea del Nord, che ha lanciato altri missili negli ultimi mesi.
Dal proprio canto, la Cina ha risposto al vertice di Camp David con ulteriori manovre militari marine attorno a Taiwan. Sull’altra sponda del Pacifico, il Wall Street Journal, prendendo in esame il fallimento a Wall Street di Evergrande, parla apertamente della crisi immobiliare cinese. Il rischio è una nuova Lehmann Brothers, come nel 2008, ma in Cina. Gli Stati Uniti, al limite, potrebbero cavalcare questa crisi e mettere economicamente in grave difficoltà la superpotenza rivale.
Dunque, se la Russia, alleata della Cina, ha dimostrato di poter creare seri problemi agli Stati Uniti in Africa, gli Stati Uniti stanno scomponendo e ricomponendo l’ordine geopolitico nell’Indo Pacifico. In America, dunque, si prepara una campagna elettorale incandescente per il 2024, tra Biden e Trump.
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