La crisi monetaria spinge Buenos Aires verso la bancarotta. E l’adesione ai Brics infiamma il dibattito in vista delle presidenziali
In Argentina nei giorni successivi a Ferragosto è esplosa la rabbia dei cittadini. Ci sono state rapine di massa nei centri commerciali, nei supermercati e nei negozi. Nei video pubblicati si vedono frotte di ragazzi entrare di corsa, prendere di tutto e scappare. Nel frattempo, la commessa si nascondeva spaventata. Nel primo di questi episodi, verificatosi il 17 agosto a Moreno, nella periferia di Buenos Aires, è stato saccheggiato un supermercato. Gruppi di ragazzi incappucciati sono entrati e hanno svuotato gli scaffali. Carne a chili, vestiti e televisori si sono involati in pochi secondi.
Nei giorni seguenti le scene si sono ripetute, a ondate. In una città avviene un saccheggio, poi a catena ne seguono altri in altre città. I commercianti a loro volta si tengono in contatto, e, quando arriva l’allarme, per precauzione abbassano le saracinesche, prima che sia troppo tardi. Per questi saccheggi, le forze dell’ordine hanno arrestato 150 persone.
I cittadini sono costretti a fare i conti con i prezzi alti dei beni di prima necessità. Il governo, dopo le elezioni primarie ha inoltre deciso di svalutare la moneta nazionale, nella speranza di favorire le esportazioni e alleggerire il debito. L’abbassamento del 22% del tasso di cambio ufficiale equivale però a una mazzata, per una popolazione con l’acqua alla gola.
Sono in molti ormai a non potersi più permettere di fare acquisti. Nei supermercati si vedono donne alla ricerca di prezzi bassi rimanere deluse. E ci sono interi scaffali di prodotti invenduti. Finora la svalutazione ha tradito le attese. Il peso continua a crollare rispetto al dollaro. Gli stessi cittadini argentini, se possono, si fanno pagare in dollari anche solo per fare le pulizie. i grafici del cambio del peso disegnano un’impennata da far venire i brividi.
L’inflazione non perdona: supera infatti il 113% su base annua, facendo raddoppiare i prezzi in dodici mesi. Si calcola, poi, che il 40% della popolazione viva in povertà. I disordini sociali quindi sono da tempo una possibilità da non trascurare. Ci si ricorda il precedente del 2001, quando pure si verificarono saccheggi. Allora lo Stato stava cadendo nella crisi più grave, sino a dichiarare la bancarotta, dopo che sei presidenti si erano succeduti in soli due mesi.
Tutti gli argentini privi di forti entrate, da rendita o da lavoro, si trovano sotto la soglia di povertà, che ad agosto secondo le statistiche è fissata in 249mila pesos, cioè 658 euro. Infatti la pensione minima si ferma a 124mila pesos, sui 328 euro, ovvero la metà del reddito di chi viene considerato povero. Il salario minimo a propria volta arriva solo a 112.500 pesos, cioè 298, ancor meno. Gli studi di Focus Market, pubblicati dal giornale La Nacion, dicono che dopo la svalutazione gli acquisti sono diminuiti di un quinto.
Intanto torna più aggressivo ed esplicito che mai il sogno recondito degli ultraliberisti, in un panorama politico esplosivo. Il trionfo di Javier Milei alle primarie fa pensare a uno sconvolgimento dopo le elezioni presidenziali del 22 ottobre. Ha ottenuto il 30% e promette sfracelli. Tagliare pesantemente o addirittura eliminare lo stato sociale è la soluzione da lui proclamata a gran voce.
Promette addirittura di sbarazzarsi della spesa pubblica per la scuola e la sanità. Il candidato presidente della destra argentina è convinto che così la voglia di lavorare, fare impresa e produrre benessere salverà i suoi connazionali dal definitivo fallimento dello Stato e dalla miseria. E dire che nessun Paese è mai riuscito a garantire la sicurezza dei cittadini, senza lo Stato sociale.
Dal crollo di Wall Street nel ’29 in poi, la mano pubblica è intervenuta a rimediare ai disastri del mercato. Circola però da uno Stato all’altro, tra le vivaci forze sovraniste, il desiderio di una clamorosa svolta storica tutta da vedere. Forse nessun politico di destra ha comunque usato il linguaggio drastico di Milei, che arriva a parlare di società “infettata” dal socialismo. Secondo lui è ora di “rimuovere” il socialismo dalla testa della gente.
Ulteriore bersaglio di Milei è il ceto politico, considerato come una classe di “sociopatici” che cercano di far credere ai cittadini di non essere in grado di trovare soluzioni da soli, quando invece bisogna farcela da soli. Per lui la giustizia sociale consiste, appunto, nel rubare a una persona il frutto del suo lavoro. La lotta politica così si fa rovente, mentre il ceto medio ha gli incubi a causa della crisi.
Il governo del presidente peronista Alberto Fernàndez ha ricevuto a fine agosto un prestito di 7,5 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale. In tempo per evitare il default. Ma come potrà Buenos Aires evitare la catastrofe? L’Argentina, in occasione del vertice di Johannesburg, è entrata nell’orbita dei Brics, l’alleanza alternativa al sistema del dollaro, in forte espansione. Dal primo gennaio 2024 infatti si aggiungeranno al gruppo Argentina, Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Già ora i Paesi Brics rappresentano il 37% del Pil mondiale e il 47% della popolazione del pianeta.
Questa prospettiva potrebbe quindi offrire un’occasione, per quanto difficile, all’Argentina, purché il Paese riesca a seguire un percorso credibile. Ed è complicato, dato che lo stesso Javier Milei, dopo il vertice di Johannesburg, ha scatenato una polemica senza quartiere contro i regimi che si riconoscono nei Brics, come la Cina e la Russia. Milei ha promesso che se vincerà revocherà immediatamente l’adesione di Buenos Aires.
Come lui la pensa Patricia Bullrich, candidata dall’opposizione istituzionale di centrodestra. Secondo la Bullrich, un conto è vendere materie prime alla Cina, un altro è camminare a braccetto con Xi Jinping. Ci si aspettano elezioni presidenziali in un clima infuocato, nelle quali gli elettori saranno chiamati a una scelta di notevole importanza.
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