Da quando è iniziato il conflitto in Iraq con l’Isis sono stati sfollati milioni di iracheni. Secondo il report dell’agenzia ONU, per quanto riguarda le migrazioni in Iraq, si tratta di dati incontestabili, che riguardano gli aiuti dati a milioni di persone.
Ovviamente il conflitto in Iraq con l’Isis non poteva che portare delle conseguenze abbastanza serie. La prima che ci teniamo a raccontare, vista la sua importanza, è quella relativa ai due milioni di sfollati.
Ricordiamo innanzitutto che la guerra civile in Iraq inizia nel 2014, quando l’Isis ha lanciato un’offensiva in quel paese, ma anche in Siria, occupando però soprattutto il territorio iracheno.
A un certo punto infatti decide di prendere il controllo di Mosul, la seconda città del paese, per arrivare al punto di proclamare la costituzione del califfato nonché la designazione del suo califfo e cioè Al Baghdadi che diventerà quindi il capo dei musulmani in tutto il mondo.
Ci sono stati poi tre anni di guerra che si è conclusa a dicembre del 2017, che però ha lasciato in eredità purtroppo milioni di sfollati. Parliamo di un numero quindi assolutamente eccessivo di persone che ancora devono lottare contro la povertà e l’emarginazione: quindi le loro vulnerabilità, legate agli spostamenti forzati che hanno dovuto fare durante questo sanguinoso conflitto.
A rivelare questi dati è l’organizzazione internazionale per le migrazioni che nel corso del conflitto ha fornito aiuto concreto a un milione di persone in tutti quelli che sono i governatori dell’Iraq.
Ma, nonostante il conflitto sia finito, continua a monitorare con attenzione la situazione dell’Iraq. Infatti secondo il report dal 2014 in poi a causa del conflitto per la precisione sono stati sfollati forzatamente circa 5,8 milioni di iracheni.
Il picco si è avuto la precisione ad aprile 2016 e cioè parliamo di 570.000 famiglie che corrispondevano per la precisione a 3,42 milioni di individui.
In ogni caso le problematiche legate al conflitto in Iraq sono comunque durate perché a un anno di distanza dalla fine della guerra, dichiarata a dicembre 2017, c’erano ancora circa 17.000 famiglie sfollate.
Quindi parliamo per la precisione di circa 2 milioni di persone. Chiaramente non è così facile individuare le cause precise degli spostamenti degli iracheni dal momento dell’inizio del conflitto ad oggi.
Ma in ogni caso l’organizzazione internazionale per le migrazioni ha cercato di fare una classifica su quelle che possono essere le regioni più importanti di quello che viene definito come dislocamento prolungato.
Con dislocamento prolungato ci si riferisce alla condizione degli sfollati, che sono all’interno del paese, e che non riescono a sanare la propria situazione per tornare nella loro terra da circa tre anni.
Secondo il report redatto da questa organizzazione in circa due terzi dei paesi che sono stati monitorati per quanto riguarda gli sfollamenti indotti dal conflitto, circa il 50% degli sfollati è rimasto nella sua condizione per oltre tre anni.
Per quanto riguarda gli ostacoli sono tanti da considerare perché si parla di alloggi dovuti alla distruzione delle proprie abitazioni, ma anche alla mancanza dei servizi. Però è chiaro che ci sono anche problemi relativi all’emotività, causati da quello che si chiama in gergo stress post traumatico.
Quest’ultimo problema riguarda in particolare la fascia di popolazione infantile nel senso che di solito a fare le spese di queste situazioni sono soprattutto le fasce deboli della popolazione e cioè gli anziani.
Ma anche malati cronici, famiglie con donne e bambini in maggioranza o anche individui che sono appartenenti a certi gruppi etnoreligiosi, che storicamente vengono emarginati ed esclusi all’interno della società più ampia.
Sempre nel report di questa organizzazione si fa capire che non è un caso che questi problemi persistono, anche dopo molto tempo dalla fine del conflitto, perché questo è un’indicazione che ci fa capire che, il dislocamento provocato da questa guerra continuerà, perché la situazione di queste persone era già ingiusta da prima.
Quindi per affrontare questi problemi c’è bisogno di un approccio più ampio e trasversale, che dovrebbe abbracciare l’aspetto umanitario, ma anche la costruzione della pace e lo sviluppo, di tutto quello che ha a che fare con la sicurezza.
Il report fornito da questa organizzazione è stato molto apprezzato in quanto molto accurato, perché fornisce una disamina molto dettagliata per quanto riguarda gli sfollati iracheni.
Secondo questo report il 60 per cento di questi sfollati proviene nello specifico dal governatorato di Ninewa.
Poi ci sono altri governatorati che sono stati toccati in maniera meno rilevante, come per esempio Baghdad e Babilonia nonché Diyala.
In ogni caso in questo report si fa capire come da settembre 2018 la maggior parte delle persone sfollate da alcuni punti sono tornate al luogo d’origine, mentre per quanto riguarda gli sfollati di Ninewa, la percentuale rimane molto bassa per quanto riguarda il ritorno.
Una ragione di tutto questo potrebbe essere legata al fatto che il modello si riferisce a quando i distretti all’interno di questi governatorati erano stati conquistati dalle forze irachene.
Infatti teniamo presente che grandi porzioni di Anbar sono state riconquistate proprio dall’Isis circa nel 2015.
Per quanto riguarda questo aspetto inoltre dobbiamo considerare che le aree urbane di Ninewa non sono facilmente accessibili agli interni o almeno non lo erano fino a poco tempo fa.
Ci riferiamo nello specifico anche alla città di Mosul che è la seconda più grande area, perché al culmine di questo fenomeno cioè nell’aprile 2016, i campi istituiti per la crisi avevano protetto solo circa il 12% degli sfollati interni.
Ma il rapporto è aumentato al 30%, partendo da settembre 2018, per via di un significativo afflusso di sfollati interne ai campi fino ad arrivare alla fine del 2017, durante l’ultima fase del conflitto.
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