La musica è un vero e proprio linguaggio. Per comprenderla occorre conoscerne le chiavi interpretative. Non è per nulla diverso dai meccanismi che utilizziamo per apprendere una lingua nuova.
Ci sono le lettere che formano le parole, ma anche la grammatica che sovrintende al senso ed alla logicità delle costruzioni. Proprio come per una lingua, esistono persone particolarmente abili a pronunciare, o a comprendere efficacemente il significato dei suoni. Ma persino i più ignoranti in materia musicale ricordano quali siano le note, proprio come tutti ricordano l’alfabeto. Molto probabilmente però non ci siamo mai posti di fronte ad un dilemma, ritenendolo quasi un dato di fatto. Sapevi perché le note musicali si chiamano Do Re Mi e via dicendo? La storia talvolta è incredibile.
Il nome delle note differisce di lingua in lingua. Gli anglosassoni, ad esempio, utilizzano le lettere dell’alfabeto per identificare le note. La nomenclatura italiana invece deriva da un’altra lingua, ovvero il latino. Ci troviamo all’incirca nell’anno 1000. Il monaco benedettino Guido d’Arezzo, l’inventore del sistema del pentagramma, voleva trovare un metodo facile per facilitare la memorizzazione delle note. In ambiente ecclesiastico poteva risultare utile il testo di un inno gregoriano all’epoca molto conosciuto, quello di Paolo Diacono dedicato a San Giovanni Battista. Così, prese per note le prime lettere dei versi. Il testo era UT queant laxis REsonare fibris MIra gestorum FAmuli tuorum SOlve polluti LAbii reatu (che significa “affinchè questi tuoi servi possano esaltare a pieno polone le meraviglie del creato, perdona le mancanze delle nostre labbra impure”).
Come molti avranno notato, però, in base al testo la prima nota doveva essere UT. Questo è in effetti ciò che è avvenuto per molto tempo. Fino a quando, un musicologo italiano, Giovan Battista Doni, nel XVII secolo non ritenne doveroso modificarla con la prima sillaba del proprio cognome. Come ragione ufficiale, ad ogni modo, spiegò che era la consonante iniziale della parola Dominus, ovvero Dio. Riteneva in generale più facile utilizzare a scopo mnemonico l’impiego di una sillaba che si concludesse con una vocale. In Francia, ad esempio, la prima nota musicale è ancora chiamata Ut.
Anche la nota Si non esisteva nella previsione di Guido d’Arezzo. Venne aggiunta da Anselmo di Fiandra nel Seicento, e costituisce l’abbreviazione di San Giovanni, ovvero Sancte Ioannes, pur essendo assente dal testo originale della lode. Gli Inglesi peraltro associavano la nota DO alla lettera C, motivo per il quale la loro scala alfabetica arriva fino alla G e riparte con A e B. Il motivo? Ritenevano la scala minore la più importante. All’epoca, dunque, le note partivano effettivamente dalla A.
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