La vita è capace di autosospendersi un attimo prima di morire. Si ferma e può risvegliarsi molto tempo dopo.
Quando si sono addormentati, c’era ancora l’era glaciale. Più che un sonno, poi, è stato un letargo, anzi il più lungo che si conosca: ben 46mila anni, un record assoluto. Gli scienziati che li hanno trovati grazie allo scioglimento di alcuni ghiacci perenni della Siberia sono sbalorditi. Hanno potuto constatare il risveglio di una specie estinta, i nematodi, che ha saputo andare oltre i limiti sinora assegnati alla vita. Si può sconfiggere persino l’estinzione.
Sono vermi di forma cilindrica, conosciuti sinora come “vermi rotondi”. Se ne sono rimasti ibernati sotto il permafrost siberiano per 46mila anni. Soltanto un fenomeno particolare come il surriscaldamento del pianeta è riuscito a scuoterli dall’ibernazione, per chiamarli di nuovo alla vita. La sorpresa è che si sono destati autonomamente, non appena il loro ambiente è tornato vivibile. Il fenomeno è stato analizzato nella Stazione di ricerca nordorientale presso Duvanny Yar, in Siberia.
Appunto quel che i romanzi di fantascienza fanno immaginare e che i registi cinematografici fanno vedere, descrivendo un avvenire che sembra tutt’altro che onirico. Quanto potrebbe viaggiare nello spazio un essere umano ibernato, in stato dunque di criptobiosi? Sulla rivista scientifica PLOS Genetics è apparso a fine luglio un articolo che spiega e documenta l’eccezionale scoperta, poi rilanciato dal Washington Post.
Ci saranno in futuro uomini in grado di risvegliarsi 46mila anni dopo? Woody Allen, nel suo Il dormiglione, si limitava a soli 200 anni di ibernazione: la commedia però è del 1973. Per ora sono quei vermi siberiani, i nematodi, micro-animali, a esplorare possibilità che hanno dell’incredibile. Hanno una capacità eccezionale di adattamento, perché in condizioni invivibili, come la mancanza d’acqua o di ossigeno, non muoiono.
Il loro essere attua un’opzione particolare: la criptobiosi, né morte né vita, una sospensione sui cui limiti temporali, se ci sono, ci si può e ci si deve interrogare. Per decodificare quale misterioso impulso vitale la possa attivare, serbando la possibilità di disattivarla quando l’habitat torna accettabile.
La criptobiosi non è un’esclusiva dei nematodi: già rotiferi e tardigradi, altri micro-organismi, hanno dimostrato di sapersene avvalere, sicché sono stati sottoposti a studi scientifici. Questo sublime sistema di viaggiare attraverso le ere geologiche al confine tra la vita e la morte coinvolge geni e proteine, che dimostrano quindi di esser dotati di facoltà mirabili ancora poco note.
Il metabolismo si ferma, sospeso: non si verifica riproduzione né sviluppo e nemmeno riparazione. Di fronte alla morte certa, il micro-organismo si auto-sospende, avendo dentro di sé un istinto di sopravvivenza di livello superiore, che si comporta come un allenatore di basket che chiama il time-out.
Thomas Boothby, biologo molecolare dell’Università del Wyoming, commentando la scoperta sostiene che siamo di fronte a un fenomeno affascinante. Scoprendo il segreto di quei micro-organismi, l’uomo riuscirebbe a migliorare ulteriormente la propria capacità di adattamento a condizioni ambientali estreme, compresa la resistenza a temperature elevate.
Lo stesso articolo di PLOS Genetics, firmato da un gruppo internazionale di studiosi, facilmente reperibile sul sito journals.plos.org, ricorda esempi spettacolari di criptobiosi. Ci fu una spora di Bacillus trovata ancora viva, ma sospesa, nell’addome di api sepolte nell’ambra per un periodo dai 25 ai 40 milioni di anni. E’ stato addirittura ritrovato in un antico lago un seme di loto, che è riuscito a germogliare dopo una vita sospesa durata fra i 1.000 e i 1.500 anni.
L’articolo ricorda poi il caso clamoroso dello scienziato P. N. Kapterev, che come prigioniero di un gulag, lavorava nella stazione scientifica di Skovorodino, una cittadina dell’estremo oriente russo. Kapterev ha scoperto un crostaceo, il Chydorus sphaericus, conservatosi per migliaia di anni dentro il permafrost della Transbajkalia, fra la Mongolia e la Manciuria. L’osservazione dello scienziato russo è rimasta sfortunatamente sconosciuta per diversi decenni, congelata a propria volta. Anch’essa però aiuta ad aprire gli occhi verso possibilità di vita che sembrano prive di confini.
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