Una delle figure più importanti del nostro paese, se si parla di legalità e lotta alla criminalità organizzata è senza dubbio quella del giudice palermitano Paolo Borsellino, nato a Palermo il 19 gennaio 1940 e barbaramente ucciso insieme a tutta la sua scorta, sotto casa della madre, con un attentato dinamitardo il 19 luglio 1992, a pochi mesi di distanza dalla strage di Capaci dove a perdere la vita fu il suo più caro amico e collaboratore, Giovanni Falcone insieme alla compagna Francesca Morvillo e agli agenti Rocco Di Cillo, Vito Schifani e Francesco Montinaro.
Gli inizi di Paolo Borsellino dopo la laurea
Nel 1963, dopo il concorso effettuato per entrare in magistratura, diviene il magistrato più giovane d’Italia, ed inizia a svolgere le proprie attività nel tribunale di Enna. Poi trasferito a Mazara del Vallo a ricoprire la carica di pretore nel 1969 ricopre lo stesso ruolo a Monreale, dove insieme al Capitano dell’Arma dei Carabinieri Emanuele Basile inizierà la guerra contro la mafia. Nel 1975 arriva il trasferimento nel tribunale di Palermo, ad occuparsi dell’ufficio istruzione, dove intensificherà la sua attività contro le cosche che parte definitivamente nel 1980, quando viene ucciso il Capitano Basile, il 4 maggio del 1980. Da quel momento a Paolo Borsellino fu assegnata una scorta personale. Il suo posto all’ufficio istruzione fu preso da Rocco Chinnici, altra vittima della Mafia, nonché uno dei più cari
collaboratori e amici di Borsellino. E da quella collaborazione nacque quello che fu ribattezzato il “Pool antimafia”.
I primi anni al Pool, l’assassinio di Basile e la riunione con Falcone
Chinnici decise di istituire presso l’ufficio istruzione, un pool antimafia, formato da giudici istruttori che dovevano occuparsi esclusivamente dei reati di stampo mafioso e che lavorando in team avrebbero avuto una visione più chiara, anche mediante la condivisione di informazione e pareri che avrebbe portato a risultati immediati, nella lotta al fenomeno mafioso. In quel pool Paolo Borsellino ritrova l’amico di gioventù Giovanni Falcone, che ha seguito la stessa trafila, insieme a loro operavano anche un giovanissimo Antonino Ingroia, Giuseppe Di Lello
e Leonardo Guarnotta. Il gruppo fu subito inviso alle cosche, che ben presto fecero sentire la loro “voce”, uccidendo Rocco Chinnici, davanti casa sua il 29 luglio del 1983. A prendere il suo posto giunse da Firenze il giudice Caponnetto.
Il pool basava il proprio lavoro sugli scambi finanziari che le cosche utilizzavano per ripulire il denaro sporco, cave, attività riconducibili ai boss di Spicco Michele Greco detto il Papa e Totò leader dei corleonesi, ormai in pianta stabile anche a Palermo, pronti a qualunque cosa
per espandere il loro potere. Fiore all’occhiello del pool fu il “Rapporto dei 162” che dalle investigazioni svolte, portò un materiale probatorio importante in sede di processo. Altro materiale importante furono le testimonianze raccolte da Giovanni Falcone, dai Pentiti Tommaso “Masino” Buscetta, definito il boss dei due mondi e Salvatore Contorno. L’attendibilità delle parole dei due ex boss furono verificate dal lavoro investigativo del pool che portò a ordinare 493 ordini di cattura, nonché vari arresti eseguiti tra Bari, Palermo, Roma e Bologna.
La preparazione del maxi processo e l’isolamento
Per ragioni di sicurezza nell’estate del 1985, Falcone e Borsellino accompagnati dalle rispettive famiglie furono trasferiti in località protetta, precisamente nell’isola dell’Asinara, dove ebbero la serenità e la tranquillità di preparare il Maxi Processo, svolto nell’Aula Bunker dell’Ucciardone, creata ad hoc per l’evento, con primo grado il 10 Febbraio 1986 e che si concluse il 16 dicembre 1987 con 342 condanne.
Nel 1987, mentre il maxiprocesso di Palermo si avviava alla sua conclusione, Antonino Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute. Per la sua successione tutti (Borsellino compreso) credevano che al suo posto fosse nominato Giovanni Falcone, ma il Consiglio superiore della magistratura non la vide alla stessa maniera e il 19 gennaio 1988 nominò Antonino Meli; sorse il timore che il pool stesse per essere sciolto.
Con il trasferimento a Roma di quest’ultimo e quello di Borsellino a Marsala e tante polemiche l’attività del pool si è interrotta, ma non quella dei due giudici.
Le soffiate sul tritolo in arrivo, le chiamate anonime e la strage di Capaci
Alcuni pentiti iniziarono a parlare, confermando quanto sospettavano i due giudici, la stagione dei veleni e delle stragi non era finita, a pagarla non dovevano essere solo Chinnici, Cassarà, Giuliano, Dalla Chiesa, ma anche i due giudici, infatti un tentativo di attentato nella residenza estiva di Falcone fu sventato, ma secca fu l’informazione che arrivò, nella città sono arrivati dei carichi di tritolo che serviranno per Falcone e Borsellino. Ma nonostante ciò i due continuarono a lavorare con la stessa tenacia. A casa Borsellino cominciavano ad arrivare telefonate minatorie, spesso a rispondere erano le figlie del giudice Fiammetta e Lucia.
Il 23 maggio 1992, Giovanni Brusca, piazzato sul monte di Capaci che costeggia l’Autostrada che dall’Aeroporto porta a Palermo, è pronto a far esplodere la bomba, non appena le auto di Falcone e della scorta passarono sotto l’occhio del suo binocolo, Brusca e premette il bottone che distrusse oltre all’intero tratto stradale le vite di tanti innocenti, ma non quella di Giovanni Falcone, che non si trovava dietro, ma bensì alla guida, Borsellino fece in tempo a raggiungerlo all’ospedale Policlinico di Palermo dove dopo qualche istante si spense, con tanto di bottiglia stappata da Riina.
Gli ultimi 57 giorni di Paolo Borsellino
Dopo giorni di dolore, passati i solenni funerali, Borsellino cercò di portarsi più avanti che poteva con le sue indagini, pur sapendo di essere il prossimo bersaglio, egli stesso si definì “un morto che cammina”, allo stesso tempo, con questa lucidità che solo gli uomini di grande
spessore hanno, iniziò a preparare la famiglia a ciò che poteva accadere, a stilare il testamento e fare cose che non aveva mai fatto prima, come aiutare i propri figli a preparare le materie universitarie.
Domenica 19 luglio 1992, il giudice si trova insieme alla famiglia ed alla scorta nella casa di villeggiatura al mare e dopo un riposino post pranzo ed una partitella di calcio nel giardino dell’abitazione con il figlio Manfredi e gli uomini della scorta, si mise in viaggio in direzione
Via D’Amelio, dove risiedeva la mamma del giudice. Nonostante le tante lamentele della scorta, la via era colma di auto posteggiate, tra cui una fiat 126 imbottita di tritolo, che alle 16:58 esplose uccidendo il giudice cinquantaduenne, Emanuela Loi agente della sua scorta ed i colleghi Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano, Claudio Traina e Walter E. Cosina. La salma risiede nel cimitero di Santa Maria di Gesù a Palermo.
Il cammino continua dopo la morte di Paolo Borsellino
Il figlio Manfredi Borsellino è commissario della polizia di stato, Fiammetta è assistente sociale, mentre Lucia dopo varie vicissitudini legate al suo cognome, quando ricopriva il ruolo di assessore alla Sanità, continuano la loro vita con una stella molto luminosa che illumina il loro cielo. La Stella di Paolo Borsellino, Uomo, Padre ed Eroe, ucciso barbaramente dalla Mafia e da chi sapeva ogni spostamento del giudice. Ad oggi ancora resta vivo il mistero della Agenda Rossa mai trovata.