Come un ritratto si ribella al suo autore e minaccia di portarlo davanti a un giudice. E’ successo a Mariupol
Una bambina russa dallo sguardo dolcemente malinconico, che ha negli occhi la serietà di chi chiede agli adulti una risposta al dolore che deve subire. Un dolore che la tormenta ma non le appartiene. Non è colpa sua la guerra. Il murale di Jorit Agoch, l’artista di strada napoletano d’origine olandese, colpisce e fa discutere.
Appare su un palazzo di Mariupol a testimoniare l’assurdità della guerra, e il dolore inferto a vittime del tutto innocenti, i bambini russi del Donbass. Le trecce, il maglione bianco, l’abile gioco dei chiaroscuri. Sembra un gioiello, un capolavoro, considerando che è stato realizzato con lo spray. Sul volto della bambina ci sono i due graffi scuri che Jorit usa come segno d’appartenenza alla sua tribù.
Poi però l’opera si ribella al suo artista, in un modo del tutto sorprendente. Interviene la madre della bambina, è una signora australiana, Helen Whittle. E non solo, è anche una nota fotografa e protesta, rivolgendosi a Fanpage.it, che quella è una sua foto, scattata a sua figlia. E che nessuno le ha mai chiesto il permesso di riprodurre la sua foto, protetta da copyright.
Non finisce qui: la fotografa australiana non è proprio una pacifista e non accetta nemmeno l’impegno civile dell’artista napoletano. Grande fotografa, d’accordo, ma non pacifista. L’incantesimo emanato dallo sguardo della bambina triste si dissolve nell’incubo di una guerra legale contro un pacifista. Helen Whittle annuncia di rivolgersi ai suoi avvocati (al plurale). L’artista di strada partenopeo di conseguenza rischia di pagare molto caro l’errore.
Si scatena la polemica sui social. Fanpage.it critica duramente Jorit, accusandolo di aver copiato “pari pari” la foto, e aggiungendo che viene minata in modo clamoroso la credibilità sia dell’artista che di chi l’ha accreditato come eroe del pacifismo internazionale. Dunque il murale ucraino si è trasformato prima in una foto australiana e poi in un processo politico.
A questo punto ci si può fermare per una considerazione: quel simbolo della bambina triste, della vittima innocente, che Dostoevskij seppe usare con tanta energia persuasiva, probabilmente è troppo potente per essere usato senza la massima cautela. E’ un simbolo antico, è come l’agnello mansueto, innocente, che si lascia prendere e sacrificare, e che si trova nei testi dei profeti.
Jorit replica sul suo profilo Instagram, mostrando le bozze del suo lavoro e ammettendo di aver tratto le trecce e la veste dalla mirabile fotografia Helen Whittle. Il volto però è diverso, più magro, con sfumature cambiate. L’artista di strada aggiunge che l’aspetto reale della bambina non era adatto al murale. Allora legittimamente si può affermare che Jorit si è lasciato trascinare dall’immagine e dalla sua stessa arte.
E l’immagine, per dirlo con una metafora, si è vendicata. Alla fine Jorit Agoch, che a Napoli ha preso il nome di Ciro Cerullo, ringrazia comunque, perché si è parlato della bambina triste, sperando di portare l’attenzione del pubblico sulla causa di quella tristezza, la guerra.
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