Per riuscire a definire e a spiegare cos’è l’equilibrio di Nash bisogna parlare, come prima cosa, della teoria dei giochi. Stiamo parlando di una disciplina che nasce negli anni ‘50 e di cui si possono studiare le tracce originali circa vent’anni prima e la sua evoluzione completa circa 20 anni dopo.
Questa teoria viene utilizzata per approfondire alcuni modelli matematici di interazione strategica tra agenti razionali. Detto in parole più semplici si tratta di andare ad applicare questa teoria per comprendere come funzionano le decisioni logiche all’interno della mente negli esseri umani oppure negli animali o negli strumenti di calcolo. Gli anni 50 sono determinanti per lo sviluppo di questa teoria, proprio perché due matematici, Flood e Dresher, indagano sul cosiddetto dilemma del prigioniero.
Il dilemma del prigioniero consiste in una teoria sulla base della quale due prigionieri che vengono messi in due sale separate e non hanno la possibilità di comunicare tra loro devono scegliere se collaborare o meno con la giustizia.
Ad entrambi i prigionieri verrà comunicato il numero di anni di prigionia che avranno sulla base della loro scelta collaborazionista o non.
Sulla base di questa teoria si stabilisce che alla fine questi prigionieri tenderanno a collaborare con la giustizia proprio perché, secondo il loro modo di ragionare, con te l’altro lo farà e pur di non rischiare di prendere il massimo della pena non collaborando e essendo tradito dall’altro che collabora, sceglieranno di non credere alla possibilità di prendere il minimo della pena e finiranno per collaborare.
Questa teoria fu molto utile negli anni ‘50 proprio per spiegare perché, in piena guerra fredda, sia gli Stati Uniti che l’Unione Sovietica invece che scegliere il disarmo nucleare scelsero la corsa agli armamenti.
La teoria dei giochi è stata e continua a essere ritenuta utile, infatti, per studiare le diverse strategie di guerra. Nello stesso periodo, John Nash, si interessa alla questione.
Nash fu un matematico ed economista statunitense che si impegnò particolarmente nello studio della teoria dei giochi tanto da ricevere poi, nel 1994, il premio Nobel per l’economia.
Le sue capacità riconosciute vertevano sulla sua abilità nel riuscire ad affrontare alcuni dilemmi con prospettive del tutto nuove e originali. Qualunque problema complesso che si trovasse di fronte cercava di affrontarlo da una prospettiva unica, per non dire elegante.
La prima volta che John Nash presenta la sua teoria lo fa in un articolo molto breve, risalente al 1950, proprio nel momento in cui stava prendendo il dottorato a Princeton.
Possiamo dire che questa teoria più o meno sostiene che in ogni impresa si determina una strategia ottimale volta ad abbassare il proprio profitto.
Ma questa strategia è possibile sceglierla solo ed esclusivamente basandosi sulla strategia che viene adottata dal rivale. Ovviamente non possiamo essere certi della strategia che adotterà il nostro rivale: quindi in realtà è più corretto parlare del fatto che ipotizziamo questa strategia del rivale o ne abbiamo un’aspettativa più che averne la certezza, però agiamo come se avessimo la certezza.
È possibile dunque dire che un’impresa, applicando questa teoria al campo economico, sceglierà la sua risposta e la sua linea aziendale partendo dalle quantità e dei prezzi che penserà verranno fissati dal rivale.
La teoria di Nash che è anche chiamata “equilibrio di Nash“ si basa sulla sua idea fondamentale: nessun partecipante alla questione in essere o nessun giocatore che dir si voglia (partendo dalla teoria del gioco) ha interesse ad essere l’unico dei partecipanti che attua un cambiamento.
Dal momento che la teoria del gioco da un po’ che basarsi su una strategia, ogni partecipante che può essere il giocatore o il prigioniero, sulla base del contesto, deve pensare ad una mossa da attuare.
Quindi si crea un determinato equilibrio perché ad un certo punto è facile che nessuno dei partecipanti al gioco riesca a migliorare il proprio comportamento senza influenzare e dunque, automaticamente, migliorare il comportamento dell’altro. Vale a dire che John Nash sentenziava che il cambiamento avveniva solamente quando i giocatori avessero attuato entrambi un cambiamento ovvero agito insieme.
In realtà, John Nash riesce a dimostrare che i giocatori che partecipano al gioco cercano di massimizzare la propria strategia solo ed esclusivamente andando ad ipotizzare che il comportamento del giocatore con cui si confrontano non cambierà a causa della propria scelta.
Un’altra considerazione molto interessante che è possibile fare è che qualunque partecipante al gioco non ho un reale interesse a cambiare la propria strategia se tutti gli altri mantengono la propria. John Nash, infatti, estende il gioco a più di due partecipanti e cambia le condizioni di partenza.
Difatti, un cambiamento di strategia non potrebbe che portare ad un peggioramento dei propri guadagni e il massimo che si può trarre da un cambiamento di strategia quando tutti gli altri mantengono la loro é mantenere il medesimo guadagno rispetto a prima.
Questa teoria è molto importante per capire come i giocatori all’interno di un gioco sono tutti vincolati dalle scelte degli altri, per questo si chiama “equilibrio”, partendo dal presupposto che è nell’interesse di tutti non cambiare. Dal punto di vista dell’applicazione di questa teoria del campo economico, è molto importante aprire una parentesi sull’ottimo di Pareto.
Si tratta di un concetto molto importante perché va a porre in luce una situazione specifica dove, quando abbiamo un incremento di guadagno da parte di uno dei giocatori, che nessuna partita da parte degli altri, ci troviamo di fronte alla possibilità che esistano delle risorse che devono essere utilizzate in maniera differente. In quanto l’arricchimento di qualcuno deve necessariamente comportare l’impoverimento di qualcun altro.
La differenza teorica tra l’ottimo di Pareto e l’equilibrio di Nash deriva dal fatto che l’ottimo di Pareto è un concetto che analizza il punto di vista del collettivo mentre l’equilibrio di Nash parte da un punto di vista individuale, basandosi appunto sull’esperienza del singolo e sulle sue risposte alla situazione che non tiene realmente conto del contesto.
Questo significa che partendo da un punto di vista individuale non necessariamente si raggiungerà il punto di vista collettivo dell’ottimo di Pareto.
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